Esistono premi (e film) che stanno completamente “dentro” il linguaggio cinematografico, perpetuando il mito di una cinefilia che in tempi di piattaforme, di serialità, di formati espansi non ha forse più alcun motivo di esistere. Ed esistono premi (e film) che aprono le porte del cinema al mondo, facendo entrare la realtà con tutti i suoi drammi. La giuria di Venezia 80, queste cose, le sa. E ha fatto un paio di scelte giuste e diverse scelte misteriose (ad esempio le Coppe Volpi, molto discutibili, ma se ne parla altrove). Diciamo che le scelte giuste riguardano Green Border di Agnieszka Holland e Io, capitano di Matteo Garrone.
Però sono scelte giuste compiute con le modalità sbagliate. Green Border meritava il Leone d’oro. Che invece va a un film divertente ma, appunto, del tutto interno a una mutazione dei generi classici che porterà forse a esiti post-moderni interessanti, e che per altro non è certo una novità (è almeno dagli anni ’70 che i generi vengono frullati, a volte bene a volte male).
Il bel film di Holland sui migranti che al confine polacco-bielorusso vengono ignobilmente trattati come bestie, e come merce di scambio fra la Bielorussia e la Ue, è stato relegato a un “premio speciale” per il quale la regista polacca è sembrata decisamente contrariata. Io, capitano ha avuto forse il giusto, perché il premio Mastroianni al giovane protagonista è sacrosanto e perché la regia di Garrone è la marcia in più di un film che racconta cose che già sapevamo, ma le racconta con uno sguardo potente che lo stesso regista ha definito un “controcampo” rispetto ai reportage ai quali siamo tristemente abituati. Bene ha fatto Garrone a far salire sul palco con sé i due attori, e uno dei veri migranti che gli ha fatto da consulente.
Holland gli aveva idealmente lanciato il testimone, dedicando il suo premio a tutti coloro che entrano in Europa “dalla Polonia a Lampedusa”; e ribadendo che non aiutiamo queste persone “non perché non abbiamo le risorse, ma perché non li vogliamo”. Altrettanto forti, per quanto pacate e brevi, le parole finali di Garrone sul Marocco: il suo film è stato in buona parte girato in quel paese (tutte le scene che nella finzione della trama si svolgono in Libia, paese troppo pericoloso per andarci a girare un film) e il regista ha voluto rivolgere un pensiero alle vittime del terremoto che ha sconvolto il Marocco proprio in queste ore.
Insomma, grazie a questi due film Venezia è stata per qualche minuto una finestra sul mondo. Poi è tornata a rintanarsi nel cinema-cinema, con scelte che sembrano davvero non avere un futuro.
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