Nella stagione dei premi, l’infausta categoria degli “snobbati” è capace di raccontare il modo in cui pensiamo e apprezziamo i film alla stesso modo dei loro fortunati colleghi vincitori. Molti degli ignorati ai Golden Globes 2024 hanno tutti un comune denominatore: lo streaming.
Killers of the Flower Moon ha portato a casa solo una delle sue sette nomination, quella – inevitabile – a Lily Gladstone, la prima indigena americana a vincere un Golden Globe. Il film porta sia la firma di Martin Scorsese che quella di Apple TV+. La stagione dei premi non promette bene nemmeno per Netflix: i suoi Maestro e May December sono rimasti completamente a bocca asciutta. Entrambi hanno avuto una distribuzione in poche sale selezionate prima di sbarcare velocemente su piattaforma.
Su La Repubblica, Antonio Monda afferma che Maestro e Killers of the Flower Moon siano stati penalizzati proprio dalle loro case di produzione, in un anno in cui “Hollywood ha fatto ancora una volta muro per difendere gli Studios sotto attacco”. Il 2023 verrà senza dubbio ricordato come un anno di celebrazione della sala, nel mondo – con il frankensteiniano esperimento Barbenheimer – come in Italia, dove C’è ancora domani è entrato tra i dieci film più di successo al botteghino nella storia del paese.
Paolo Mereghetti esclude una “scelta di tipo «ideologico»” ma avanza la teoria che la distribuzione in sala abbia aiutato, piuttosto, i film sul lato marketing. Di fronte alla scheda, i votanti dei Golden Globes avrebbero ricordato più facilmente i film passati in sala, quest’anno di certo più rilevanti sul piano culturale.
Difficile immaginare l’impatto sui Golden Globes del recente ampliamento del bacino di votanti. Altrettando ostico immaginare cosa passi per la testa di una giuria chiamata a premiare sia il cinema che la televisione: si può reputare lo streaming come una forma di trasmissione puramente televisiva o come una valida alternativa per tutti i format.
Certo è che la limitatissima finestra distributiva di Netflix non è molto amata dalla critica, ovvero la categoria dei votanti ai Golden Globes. D’altra parte, Netflix e Apple non sono le uniche ad uscire sconfitte dalla competizione: le sole due statuette di Barbie – quella a Billie Eilish e quella per il miglior successo al botteghino (that’s what the money is for, direbbe Don Draper) – hanno ridimensionato le possibilità di un exploit agli Oscar per la bambola Mattel.
Solo due anni fa, i membri dell’Academy non si fecero scrupoli a eleggere CODA, prodotto da Apple, come film dell’anno. Anche Jane Campion fu eletta miglior regista per Il potere del cane, firmato Netflix. È improbabile che gli Oscar confermino un’eventuale reazione allo streaming, dato che il bacino di votanti si estende a tutti i generi di addetti ai lavori, e non solo alla stampa. Il 23 gennaio l’annuncio delle nomination potrebbe già darci qualche indizio.
È anche vero che l’offerta degli streamer di quest’anno non era proprio in una botte di ferro. Non ci riferiamo qui alla qualità artistica – ci mancherebbe, parliamo di Martin Scorsese – ma di appetibilità in ottica premi. Proprio Scorsese sono ormai diversi anni che raccoglie nomination senza incassarle: tra Oscar e Golden Globes, The Irishman aveva ottenuto quindici candidature e zero premi. Lo stesso era successo, nel 2015, a Todd Haynes, che con Carol aveva raccolto in totale 11 nomination e nessuna vittoria. Difficilmente May December potrà cavarsela meglio.
Sul Maestro di Bradley Cooper vale un discorso a parte. Il film ha avuto un percorso accidentato sul piano pubblicitario, a cominciare dalla polemica sulla protesi nasale per imitare il naso di Bernstein fino ai recenti meme che vorrebbero Bradley Cooper “provarci troppo”, geloso dei premi non vinti. Anche A Star is Born aveva guadagnato, tra Oscar e Globes, quindici nomination: se ne portò a casa solo due, entrambe per la miglior canzone.
Che sia una difesa della sala, un’affezione inconscia o semplicemente un’annata sfortunata per le streamer, tenere fuori lo streaming dal giro dei premi è sempre più impensabile, in anni in cui il centro focale della cultura audiovisiva si è spostato sul piccolo schermo. Si guardi al Festival di Cannes e alla sua decisione di tenere fuori Netflix & company.
La mossa ha avuto, negli anni, un solo evidente effetto: far crescere il Festival di Venezia, che lo streaming lo ha accolto a braccia aperte. Semmai, l’ultimo anno ha mostrato che il passaggio in sala, più che un obbligo, può essere un vantaggio.
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