Il bello dei tanti premi vinti dal cinema italiano all’ottantesima Mostra di Venezia è che spesso non sono italiani. Non è certo italiano, o almeno non ancora, Seydou Sarr, giovane protagonista senegalese del film di Matteo Garrone. Non è italiano con ogni probabilità il giovane africano salito sul palco cui è in buona parte ispirata la storia, Kouassi Pli Adama Mamadou, che ha voluto dedicare il film a tutti quelli che non sono riusciti ad attraversare il Mediterraneo e vive in una comunità di migranti a Caserta.
Non è italiano in qualche modo l’intero film di Garrone, controcampo ideale e volutamente “magico” a una delle storie più raccontate e meno comprese dei nostri anni. Quella dei migranti, osservati per la prima volta dall’altro lato del mare, rovesciando retoriche e luoghi comuni talmente radicati da essere ormai invisibili.
Così la serata più “black” mai vissuta dalla Mostra di Venezia ha regalato al cinema italiano, sbarcato con ben sei titoli in concorso, una certezza il nostro cinema vince quando punta in alto e guarda lontano, in tutti i sensi. Matteo Garrone non ha fatto Io Capitano quando “poteva”, ma solo quando ha capito qual era il suo posto nel film che voleva fare, dopo aver cercato per anni storie, idee, informazioni. Dandogli il Leone per la regia la giuria ha anche implicitamente mandato un messaggio a un festival che si era aperto con la calcolata ambiguità e il finto anticonformismo di Comandante.
Peccato aver ignorato l’ambizioso Finalmente l’alba di Saverio Costanzo. Ma i premi dati da Chazelle e i suoi giurati parlano chiaro. Vince il coraggio (Agnieszka Holland, l’altro grande film sulle frontiere e i migranti), il rigore (Hamaguchi, Michel Franco), perfino la mancanza di misura (Poor Things, El Conde). Lo confermano anche i diversi premi vinti da Alain Parroni con Una sterminata domenica e da Enrico M. Artale con El Paraiso, entrambi a Orizzonti.
Peccato infine aver ignorato la folle originalità di un film in tutti i sensi unico come Invelle di Simone Massi. Il cinema è fatto anche e soprattutto di eccezioni e singolarità, non solo di generi, regole e pianificazione. La Mostra che verrà saprà tenerne conto, auguriamoci.
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