Non è la stessa cosa, ma potrebbe diventarlo, per lo meno come potenza simbolica. Da una parte il colossale sciopero di attori e sceneggiatori di Hollywood che sta mettendo spalle al muro i produttori cinematografici, costretti a ritirare i film dai festival e a rinviarne l’uscita: come si promuove un film se le star planetarie, metti Zendaya, si sottraggono? (Da cui si deduce, se per caso ce ne fosse bisogno e purtroppo ce n’è, che senza chi lavora per il cinema, artisti e artigiani, il denaro di chi lo produce gira a vuoto. La famosa questione dei musei senza Picasso, senza i falegnami capaci di allestire una scena).
E’ inoltre odioso mettere comunque sul mercato un’opera i cui protagonisti sono in sciopero per vedersi riconosciuto un reddito commisurato al loro lavoro, e qui naturalmente non si parla più di superstar pagate a peso d’oro ma di un intero settore che muove la sala macchine. Le star solidarizzano, meritoriamente, generosamente, e se le produzioni se ne infischiassero sarebbe come boicottare il proprio stesso futuro, oltreché assai antipatico. Crumiraggio della classe dirigente, si sarebbe detto in un altro secolo.
Dall’altra parte, in Italia, un terremoto sotterraneo scuote gli artisti: la rivolta è contro un colpo di mano che vorrebbe assoggettare la più importante scuola di cinema del paese alla politica. Farne un’articolazione di governo, da oggi e per sempre. Poi certo la ruota gira, ora il timone è in mano alla destra domani chissà, ma è il principio che conta: se decidi che è la politica a nominare chi guida una scuola, docenti compresi, comprometti per sempre un assioma fondamentale che è la libertà di pensiero e di azione dei docenti. L’indipendenza dell’insegnamento e dell’industria culturale dal governo.
Un po’ come, si perdoni la semplificazione, è accaduto un giorno e per sempre con la Rai: dove se non sei “di qualcuno”, “in quota a”, puoi essere il talento più formidabile, campione di ascolti, esempio sublime di azione e di pensiero ma pazienza. E’ la politica che assegna i posti, sempre. (Ragione per cui ogni protesta degli epurati ha ben poco mordente, perché se ti assoggetti alla logica dell’appartenenza – e d’altra parte altrimenti non lavori – è per quella logica che hai avuto allora il posto che ora qualcun altro ti toglie. Abolire la lottizzazione significa sottrarre l’industria culturale alla politica. Quel che oggi la politica sta tentando di fare con il Centro sperimentale di cinematografia).
C’è un filo sottile ma visibile che lega le proteste di Hollywood a quella di Roma. La rivendicazione dell’autonomia, la pretesa di libertà, la tutela dei diritti di chi produce un reddito che finisce nella più larga parte nelle tasche di altri e termina per essere asservito a un meccanismo padronale. In Italia, e in Europa, la categoria degli artisti non è così coesa, sindacalizzata e capace di azioni di forza quanto in America. Ragioni storiche, certo. Competizione, rivalità, egoismi e narcisismi. La legge del mercato.
Ma qualcosa sta cambiando, e non da oggi. Molte associazioni sono nate, negli ultimi anni, ed hanno saputo tenere insieme quel che insieme non stava: c’è una consapevolezza nuova, un senso di categoria che fino a poco tempo fa non aveva luogo, ciascuno per sé, morte tua vita mia. Certo, è vero, siamo ancora lontani da un’azione così potente come quella che arriva da Hollywood e costringe il sistema a fare i conti con le sue storture, i suoi abbagli, la sua presunzione di potenza.
Ma qualcosa si muove, anche in Europa. I festival d’autunno saranno paneuropei, così li ha definiti Barbera. Si faranno con chi c’è, con chi comunque si presta ancora sordo alle rivendicazioni di oltreoceano che riguardano tutti, invece. Ma non starei tranquilla, se fossi nei panni di chi si fa ricco coi denari dello Stato, i tax credit, e con il lavoro silenzioso di chi pur di essere scelto, pur di lavorare, non fa squadra con gli altri.
Nessuno si salva da solo. Avrei timore del contagio. Comincerei a ripensare le formule, diciamo così. Non è una catena di montaggio, non sono tutti fungibili, non sono tutti ricattabili. Cambia il vento, si sa che cambia sempre prima oltreoceano. Preparerei un piano B. Comincerei almeno a pensarci.
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