“Le inquadrature finiscono”. La frase è di un regista premio Oscar ed è il commento a come sia difficile invecchiare bene dietro una macchina da presa. Si fa fatica a immaginare il cinema e il talento come un deposito di risorse esauribili, ma la creatività è un luogo tanto fertile quanto fragile e se non te ne prendi cura: il rischio, poi, è la sterilità. Nel guardare L’ordine del tempo di Liliana Cavani, il ritorno dopo 20 anni alla regia di una delle grandi maestre del cinema mondiale ed europeo, si ha questa sensazione: di esaurimento, di incapacità di trovare, sentire il cinema, di esercitare la propria visione su di esso con la stessa potenza di un tempo. C’è più modernità nelle parole con cui la regista accoglie il Leone d’Oro che nell’opera che porta fuori concorso.
Eppure L’ordine del tempo ha un suo fascino, fosse solo perché una 90enne invece di ritrarsi in un racconto intimistico esplora invece il finito e l’infinito, i massimi sistemi – e pure quelli minimi – messi alla prova da un asteroide. Ma non c’è vitalità, in questo racconto, non si percepisce nel linguaggio cinematografico, nella cifra stilistica, nell’angolo di visuale e di analisi nulla che smuova, sorprenda, stupisca.
L’ordine del tempo è un bel libro di Carlo Rovelli, un saggio che ha ispirato alla regista un dramma da camera che voleva essere bergmaniano e finisce per essere solo un (brutto) film di Ferzan Ozpetek.
La trama del film di Liliana Cavani
Un gruppo di persone, altoborghesi e di ottima cultura (ci sono anche due fisici di fama mondiale, chi non ci passa le ferie di solito?), decidono di passare un fine settimana insieme, alla fine di una vacanza comune di alcuni di loro. Cosa li leghi, non è chiarissimo: parentela, primi e secondi amori, sentimenti intermittenti, amicizia. In alcuni casi, probabilmente, tutto questo messo insieme.
L'ordine del tempo
Cast: Claudia Gerini, Alessandro Gassman, Kseniya Rappoport, Edoardo Leo, Francesca Inaudi, Valentina Cervi, Richard Sammel, Angela Molina, Fabrizio Rongione, Angeliqa Devi
Regista: Liliana Cavani
Sceneggiatori: Liliana Cavani, Paolo Costella
Durata: 112 minuti
A un certo punto un asteroide troppo vicino alla Terra smuove le acque di questa comitiva che fondamentalmente è annoiata dalla vita, dalla proprie ipocrisie, dai non detti. O troppo detti. Se all’inizio il loro problema era come festeggiare i 50 anni del loro rassicurante punto di riferimento (Claudia Gerini) – un po’ Athina Cenci in Compagni di scuola, un po’ Kasia Smutniak in Perfetti sconosciuti (scritto peraltro dal cosceneggiatore de L’ordine del tempo Paolo Costella), ma sempre in tono minore – a un certo punto diventa invece come passare le proprie ultime ore in questo mondo. Fortuna vuole che questa famiglia allargata di radical chic si sia portata tutti i rapporti irrisolti in questa vacanza-rimpatriata, dal primo amore della “matriarca” all’ex amante del maschio semialfa, passando per gli amanti intermittenti, che si vedono una volta l’anno e, beati loro, si amano da pazzi, per soffrire poi per gli altri 364 giorni. Niente di diverso da qualsiasi relazione sentimentale, intendiamoci.
L’ordine del tempo, recensione
Tutto questo sarebbe un ottimo spunto per una commedia graffiante, come appunto fecero Verdone e Genovese, così come poteva virare su qualcosa che potesse somigliare a Il grande freddo di Kasdan, e invece neanche un asteroide mina un immaginario minimo che non sembra figlio di una cineasta che ne ha saputi (ri)costruire di complessi e dolenti. L’umorismo involontario è sempre dietro l’angolo: Claudia Gerini che di fronte alla fine del mondo si ribella e non si lava i denti; la comitiva che balla una canzone (bellissima) di Leonard Cohen Dance Me to the End of Love, fa una battaglia di cuscini mentre la colf di casa, disperata per la sorte del figlio, li serve e riverisce come sempre; un paio di dialoghi da Razzies.
Va detto che a salvare il film sono gli attori (che brave Francesca Inaudi e Angela Molina nei loro dialoghi teo-fisici), in particolare Alessandro Gassmann che ha il personaggio più scomodo e improbabile, Edoardo Leo che sa incarnare bene l’onestà ruvida dello scienziato e la difficoltà di vivere. Non c’è la necessaria empatia, la voglia di vivere di fronte alla quasi certezza della morte – in un momento solo la cogli in una sequenza con Ksenyia Rappoport – non si arriva mai all’apice intellettuale ed emotivo di discussioni che appaiono vacue persino quando non lo sono, non c’è neanche quella capacità unica di Liliana Cavani di disegnare con implacabile lucidità un mondo decadente, che qui invece di sferzare finisce per blandire. I personaggi sono stereotipi mascherati e alla fine gli unici che ne incarnano uno in modo più evidente, Fabrizio Rongione e Valentina Cervi, sono i due che hanno la scena più bella. Perché la senti vera, cattiva, coraggiosa.
Dispiace che L’ordine del tempo non sia all’altezza, come linguaggio visivo – anzi, a dirla onestamente, decisamente televisivo – e nei contenuti: non capisci la direzione del film, non riesci a sentirlo credibile, sia pure nell’estremizzazione di un week-end a un passo dalla fine del mondo. E senti solo la profonda convinzione che con quel tema e Liliana Cavani alla regia, ti trovi di fronte a un’ottima occasione persa.
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