Maria la ribelle non vuole sposarsi, anzi sogna solo di fuggire in groppa a un cavallo o magari a un somaro per scoprire il mondo e le sue meraviglie. Maria l’ambiziosa beve ogni parola del sacerdote nel tempio. Poi va a predicare alle anatre, le uniche disposte ad ascoltarla, perché tutto ciò che vuole è studiare, imparare, sapere, anche se la sua religione glielo vieta.
Maria la predestinata non sa che un giorno sposerà il maestro che ha sempre sognato. Si chiama Giuseppe, viene da lontano, fa il falegname, ma prima di tornare a Nazareth ha visto il mondo. È stato a Roma, Atene, Alessandria d’Egitto, ed è disposto a insegnarle tutto. Disegnando mappe sulla sabbia col bastone se serve.
Faceva un certo effetto scoprire Vangelo secondo Maria di Paolo Zucca nel giorno in cui la marea fucsia delle manifestazioni contro la violenza sulle donne invadeva l’Italia. Tratto dal libro che Barbara Alberti pubblicò con Rizzoli nel remoto 1979, selezionato fuori concorso dal Torino Film Festival, questo anti-vangelo femminista e scopertamente pasoliniano, almeno sullo schermo, aspettava infatti di diventare un film da anni. Zucca voleva farlo ancora prima de L’arbitro e de L’uomo che comprò la luna, le due originalissime commedie che ne hanno fatto un campione di incassi, anche se quasi solo in Sardegna (non certo per colpa sua, il nostro cinema sa essere molto provinciale).
Il progetto, racconta il regista, precede addirittura Su Re, altro bellissimo Vangelo sardo girato dal suo conterraneo Giovanni Columbu nel 2013. Ma forse è perfino meglio che il film di Zucca abbia visto la luce solo oggi perché sembra fatto apposta per parlare ai nostri anni confusi e brutali. Sposando il rigore di questa Palestina reinventata nella Sardegna più remota (il coro delle donne di Nazareth parla addirittura in dialetto) a una chiarezza, un’immediatezza, una comunicativa sorprendenti perché miracolosamente lontane tanto dalla volgarità dei prodotti di consumo quanto dalle asperità del cinema d’autore.
Lo dice già la scelta dei protagonisti, che sono Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassman, non proprio i primi nomi che verrebbero in mente per Maria e Giuseppe di Nazareth, ma perfetti in questa versione della storia. Lo conferma la naturalezza con cui i paesaggi sardi riportano in vita “la comune matrice mediterranea di civiltà agro-pastorali antichissime” per dirla con il regista.
Ma il colpo decisivo lo danno l’impeto e la disinvoltura con cui Zucca maneggia i registri più diversi, grattando via ogni traccia di solennità da questa vicenda che torna a farsi quotidiana, terrestre, arcaica e contemporanea insieme, anche se Zucca (e Barbara Alberti, e Amedeo Pagani che ha scritto il film con loro oltre ad averlo prodotto insieme alla Indigo Film) non rinuncia a confrontarsi con i misteri della fede e con la loro millenaria tradizione iconografica. Ma se l’Annunciazione è uno dei momenti più acrobatici di un’impresa tutta sul filo del rasoio, la vita quotidiana di Maria con i genitori (Lidia Vitale e Leonardo Capuano), implacabili guardiani della tradizione, è una sommessa ma efficacissima invettiva contro i soprusi annidati nella quotidianità; mentre l’incontro nel bosco con Erode (Maurizio Lombardi) e la sua follia è un momento addirittura memorabile.
Qui non c’è solo e ancora un domani, siamo proprio all’alba di un mondo nuovo. Un mondo che forse deve ancora nascere perché l’ipotetica rivolta di Maria in fondo è solo un inizio. La ribellione a un destino già scritto, deciso addirittura dall’Onnipotente, che Maria non riconosce come suo. Anche se prima, umanamente, si lascia tentare dalle lusinghe della superbia.
È bello che da un regista fino a ieri radicato nel genere dominante in Italia, la commedia, arrivi un film così inaspettato e a suo modo spericolato. Speriamo che il nostro mercato sappia accogliere come merita la sua anomalia.
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