Sono appena finiti i 68esimi David di Donatello e ci troviamo di fronte a un’edizione strana, bella – non poteva essere altrimenti la prima con The Hollywood Reporter Roma che è arrivato in città – e con le sue fragilità. E, anzi, forse proprio quest’ultime hanno resa speciale questa serata: quella dichiarata di Fabrizio Gifuni, quella fisica di Marina Cicogna e Michele Placido, quella emotiva di chi alla settima candidatura vince il primo David (Enrico Iacoponi, 10) ma non ha fatto in tempo a far sì che il papà lo vedesse, quella di chi non riesce a trattenere le lacrime di felicità per il sogno del coniuge che si realizza.
Marina Cicogna 10: al braccio di Carlo Conti, malata e senza nessuna intenzione di nasconderlo, ma allo stesso tempo elegantissima e fiera, si prende i minuti che vuole sul palco, ricorda a tutti che questo David alla carriera arriva buon quarto a casa sua e ci delizia con l’aneddoto sull’Oscar che la vede finire a ritirarlo “perché non pensavo l’avremmo vinto”. Ironica e brillante come e forse pure più di sempre, dà una stoccata ai produttori attuali e ti fa venir voglia di darle una trasmissione televisiva. I have a dream, un programma sul cinema e la vita con lei e Barbara Alberti.
Marco Bellocchio 9,5: “Non me lo aspettavo proprio, ma lo accetto. Ringrazio tutti quelli che sanno che li ringrazierei con il cuore”. Cos’è il genio? Eccolo, sta tutta in quella timida ironia di un maestro che spera solo “di avere un altro po’ di tempo per fare ancora cose belle”. Serve altro per giustificare il voto? Intanto venerdì e sabato recuperate in tv Esterno notte. Non è un consiglio, è un ordine.
Fabrizio Gifuni e Isabella Rossellini 9: vorresti essere lui, soprattutto quando i tuoi amici ti urlano “discorso, discorso, discorso” e a te imbarazzerebbe meno “nudo, nudo, nudo”. Ok, sapeva di essere superfavorito e di sicuro se l’era preparato, ma ringraziare Capuano e Manuli e Bertolucci per la loro indipendenza, così come ammettere fragilità e lentezza e benedire il dono della gioia, dell’immaginazione e della fantasia, è di classe sopraffina. Isabella Rossellini esiste, e già basta, poi parla dei suoi genitori e ne celebra i preziosi insegnamenti e il divertimento insieme. “Mi hanno dato l’allegria e l’avventura, due doni meravigliosi”. Come essere fighi senza alcuno sforzo. Maledetti, esattamente il contrario della mia vita.
Carmela Esposito e Matteo Rovere 8,5: dietro ogni grande David c’è un grande coniuge che ti sopporta e supporta. E piange come una fontana per te. Se non frigna mentre prendi un premio, insomma, non è amore. Carmela è la moglie di Francesco Di Leva, mattatore pieno di talento e coraggio civile, “la ringrazio perché mi rende ogni giorno un uomo semplice”. Lei ride e piange, come e più che se l’avesse vinto lei. Otto e mezzo pure a Francesco Di Leva che definisce “maggio un mese fortunato” ricordando le date in cui il Napoli ha vinto i suoi trofei, terzo recentissimo scudetto compreso. Forza Napoli.
Passando a Matteo Rovere, alla moglie ha fatto fare la gavetta con un po’ di sceneggiature (tutte riuscite, da Moglie e Marito a Croce e Delizia, da Il campione a Marilyn ha gli occhi neri) prima di farla esordire al cinema con Settembre, uno dei film migliori di questa stagione e tra gli esordi più felici degli ultimi 20 anni. Lei lo definisce un “grande compagno di lavoro e di vita”, lui tira su col naso e piange sorridendo. Il produttore rampante lascia spazio all’orsacchiotto dolciotto. Così non posso neanche confessare che sono innamorato di lei dai tempi di Come tu mi vuoi.
Michele Placido 8: da un po’ di tempo girava voce che stesse male. Lui la conferma con nonchalance e mostrandosi fragile, leggermente tremante e mai così coraggioso come su quel palco. Sale per il David Giovani vinto dal suo L’ombra di Caravaggio. “Direte Placido ha il Parkinson? Sì e gli manca pure un dente” e poi ringrazia Bellocchio “per avergli insegnato come stare davanti e dietro la macchina da presa” e Gifuni per il bellissimo discorso. E dire che avrebbe dovuto essere lì a giocarsi un David come attore per la prestazione monumentale in Orlando di Daniele Vicari. Grande ingiustizia di questa edizione la mancata candidatura per Placido, alla pari con quella, mancata, di Saul Nanni per Brado. Lui è uno che può dirigere Un eroe borghese e Romanzo Criminale, essere Orlando o l’attore cialtrone de Il Caimano, Michele e Placido. Tutto nella stessa vita. Non di rado nella stessa sera.
Giulia Steigerwalt e Barbara Ronchi ed Emanuela Fanelli 7,5: un premio ai discorsi più cringe e per questo deliziosi. La prima si dimentica di dedicare il David all’ultimo figlio perché “tanto non capisce, è neonato” e poi lo chiama Forgotten (già ce la vedo, la sua opera seconda, la risposta femminile a Mattia Torre e al “suo” Figli); la seconda inaugura il palco, vince a sorpresa e tira fuori i ringraziamenti più strampalati, caotici e improbabili della storia: mette insieme Virzì e Lundini, per dire. Dando più importanza al secondo. Un voto in più per la maglietta Fanelli di Donatello. Sono disposto a tutto per averla. Piccola citazione di Barbara Ronchi che dopo anni di duro lavoro arriva in cima, si emoziona e tu la vorresti stringere fortissimo e poi tira fuori un dolce e deciso “Amleta siamo con te”, riferito alle dichiarazioni di Luca Barbareschi sul #metoo (“le attrici denunciano per farsi pubblicità”). A loro modo, chirurgiche.
Il montatore gelosone 7: belli gli rvm, alcuni davvero molto azzeccati (come quello dai set dell’inizio). Certo a un certo punto sembrava lo sketch di Martellone/Max Bruno su Favino che fa tutti i ruoli, pure Spazzolini. In ogni contributo apparivano Favino e Servillo, pure nei film in cui non c’erano. Un giorno dovremo risolverla questa cosa, con un film sugli Avengers del cinema italiano. Favino, Buy, Servillo e un altro pugno di eroi contro Thanos. Interpretato da Beppe Fiorello, ovviamente.
Sì, Il montatore gelosone è una citazione del geniale contributo di qualche anno fa di Maccio Capatonda al David.
Noemi 6: ricorda Anna Magnani con carisma e talento. Lo sappiamo tutti quanto sia brava, qui ci mette anche un po’ di cuore in più, che non guasta. Certo, pensando alle performance stile Superbowl negli Stati Uniti durante la notte degli Oscar – anche se Lady Gaga quest’anno ha scelto understatement e un look alla Nino D’Angelo prima maniera, ‘nu jeans e ‘na maglietta – un po’ viene da piangere.
Matilde Gioli 5,5: un voto che do con sofferenza. Perché è un’ottima attrice che con Il capitale umano ha fatto uno degli esordi migliori delle ultime generazioni di attori italiani e perché è nella mia serie guilty pleasure preferita, Doc. Ma accetta di far da contorno a Carlo Conti che, ovviamente, con la sua conduzione da fine ‘800 le lascia premi minori, una domanda nelle interviste importanti e qualche aforisma qua e là. E dire che aveva iniziato alla grande, con il discorso sui giovani (anticipato, peraltro, nell’intervista al nostro Pino Gagliardi, voto 8), rispondendo indirettamente all’abbronzatissimo che l’aveva definita “bella e brava”, una di quelle espressioni che persino Silvio Berlusconi troverebbe ormai maschilista. Mezzo voto in più per la chiacchiera sugli animali con Isabella Rossellini. A un certo punto pensavo che si sarebbero sedute a bordo palco con una birretta a parlare di galline, cavalli e suini. Non male anche l’esultanza con Geracitano per la vittoria della sua Inter nel derby di Champions. Ecco, forse come conduttrice sarebbe stata perfetta. E Carlo Conti valletto.
Penelope Cruz 5: una smorfia di disappunto così per una sconfitta così non la si vedeva da Sean Penn preferito a Mickey Rourke per Milk agli Oscar. Solo che in quel caso la chirurgia estetica che ha invaso la star di 9 settimane e mezzo ha impedito a tra parte di noi di scoprirlo, per anni. Penny mia, non è mica sempre Vicky Cristina Barcellona.
Rai1 4: le sovrimpressioni con tanto di cornice, Conti che pubblicizza I migliori anni persino quando si tratta di salutare chi ci ha lasciato nelle ultime ore, le riprese alla bella esecuzione di Love of my Life di Matteo Bocelli che impallano i nomi di chi è morto negli ultimi 12 mesi (per chi è alla tv, in sala vedevano). Una tv privata locale avrebbe pubblicizzato il suo programma di punta con più stile.
Carlo Conti 3: se fosse alla saga della patata, a un raduno di motociclisti o ai David di Donatello, in lui non cambierebbe il sovrano disinteresse per ciò che gli accade attorno. Il buon Carlo è quel padrone di casa che ti accoglie distrattamente perché nel frattempo sul maxi schermo che ha in salotto gioca la sua squadra e per questo non si rende conto se gli hai portato un vino pregiato o l’idraulico liquido. La sua unica ossessione sembra essere quella di rimanere nei tempi. Vero è che il pubblico di Rai1, alla fine, ha bisogno di un vigile urbano. E quello lo fa benissimo, tenendo il ritmo. Ma è talmente noioso che il Corsera lo fa diventare Claudio Conti. Il suo grado di empatia per il mondo del cinema è pari a quello che stasera Matilde Gioli aveva per i milanisti.
Che nostalgia di Alessandro Cattelan. Dei Jackal con Paolo Sorrentino. Della produzione Sky. A volte sono convinto di averlo sognato.
Matt Dillon 2: sono anni che appena può viene in Italia ad aprire pure le tabaccherie. Festival e premi, non se ne perde uno se il cachet è soddisfacente. E va anche bene che in queste occasioni faccia il divo, che se la tiri. Ma se hai la fortuna di premiare Isabella Rossellini, scatenati. Esci fuori da quell’istrionismo a buon mercato, da due battute preconfezionate e regala un pezzo di bravura. Fosse solo per orgoglio. “Amo l’Italia” è il suo momento migliore.
Con lui persino Carlo Conti giganteggia. Dovrebbe invitarlo a I migliori anni.
Il David dello Spettatore 1: bello vedere chi normalmente lì non salirebbe mai, da Ficarra e Picone a suo tempo (quanto avrebbero meritato quest’anno, però, per La stranezza?) a Aldo e Giacomo senza Giovanni per Il grande sogno. Però ogni volta ho l’impressione che ci sia qualcosa fuori posto. Un po’ come il tombolino a Natale. A metà tra premio di consolazione, riserva indiana e contentino per il mercato. Far entrare dalla porta sul retro quelli che non avresti invitato nella festa sulla terrazza. Anche se loro la terrazza potrebbero comprarsela.
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