Le simmetriche battaglie di Cannes e la palestra del pensiero

Di bisogni autoindotti, di controllati e controllori, di costi colossali forse riducibili e di realtà così evidenti da risultare invisibili. In pillole, due o tre cose viste al Festival (che prescindono da questo Festival)

Di bisogni autoindotti, di insonnie evitabili, di costi colossali forse riducibili e di realtà così evidenti da risultare invisibili. Cronache da Cannes, insomma. In pillole, due o tre cose viste al Festival che prescindono dal Festival, tutto sommato – da questo festival. Domande con una emivita superiore alla settimana.

I grandi artisti, gli staff. Nelle hall dei grandi alberghi nei cui giardini i falchi e i falconieri sono assoldati per scacciare i piccioni sono in corso simmetriche battaglie. Anziani magnifici registi stanno seduti ridenti, conversano con chiunque si accomodi accanto, rispondono gentili, taluni concedono persino una foto. (Certo, dipende dai caratteri. Ma sono abbastanza di buonumore tutti, relativamente alle condizioni date in partenza e in natura, lo sono giacché si trovano qui).

Nervosissime, indossando sorrisi che non corrispondono agli sguardi, ruotano attorno a loro decine di persone addette non alla sicurezza, che a quella ci pensano generosamente gli alberghi. Addette alla contenzione. In ordine gerarchico titolari, vicetitolari, assistenti anziani e junior sono lì per vigilare, controllare, ascoltare che non una parola sfugga al Grande Artista: non una che sia stata concordata, appaltata a questo o a quello, accordata come esclusiva, vagliata preventivamente in sedute di stress test in camera. Se chiedessero questo, devi rispondere quest’altro. I geni disciplinati annuiscono.

Non ce ne sarebbe alcun bisogno, tuttavia. Quando Nanni Moretti racconta della sua prima esperienza a Cannes in camicia a quadretti, sereno a passeggiare sulla Croisette con un amico, non parla dell’Ottocento, parla di pochi decenni fa. Non c’è una ragione al mondo per cui un cineasta capace di inventare mondi non debba avere la libertà di fare dire baciare chi vuole quando vuole. Non c’è motivo per ritenere che non sia in grado, il genio, di vagliare gli interlocutori e scegliere le parole da usare con loro, se vuole usarle. Anzi c’è, ma non lo riguarda. Riguarda l’autotutela della categoria dei controllori. Ne va della loro ragion di esistere. Posti di lavoro, stipendi, commissioni.

Tutto legittimo, per carità. Comprensibile in termini economici, meno sul piano dell’arte e della palestra di pensiero. Immaginare conversazioni tra Gianni Minà e Garcia Marquez, tra Oriana Fallaci e Federico Fellini. Tra Pasolini e Cecilia Mangini. Soli, davanti a un bicchiere, senza ronde. Tra l’altro, nelle hall degli alberghi di lusso i piccioni non entrano.

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Julianne Moore in accappatoio, in uscita dalla Spa, incrocia in corridoio una giovane che parla inglese con accento sudamericano. Le dice, la ragazza, che ha scritto un film e vorrebbe farle leggere la sceneggiatura. Moore cordialissima e ridente si informa sull’età della giovane, le sue aspirazioni, le chiede di che cosa parli il film, la incoraggia. Le propone infine di lasciarle la sceneggiatura alla concierge con una mail a cui rispondere che adesso vede, sono in accappatoio – fa il gesto – e non ho la penna. Ridono entrambe. Accorrono quattro donne nervose, si fanno largo tra le bodyguard che presidiano ogni porta del corridoio. (La sicurezza è garantita, diciamo così. La giovane sudamericana non è una stalker, è a sua volta ospite dell’albergo con un’altra delegazione. Si è fatta coraggio, ha parlato alla diva co-ospite).

Una delle quattro persone dello staff Moore dice a un’altra, mentre corrono: “E’ un inferno, dormo due ore per notte”. Moore le ferma con una mano e rientra in stanza. Non c’è traccia di inferno in corridoio. Estintori inutili. Insonnie evitabili.

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Dicono che una première a Cannes costi a chi la paga intorno ai due milioni di euro. Varia secondo la composizione del cast, naturalmente: se gli attori sono quattro o ventiquattro, e i produttori, e i genitori dei minori e gli sceneggiatori qualche volta, e chi ha partecipato. Se però poi ne arrivano altri centonovantaquattro alcuni dei quali col compito grosso modo di portare le valige degli altri, ecco che la delegazione diventa un’impresa di traslochi. Come se anziché andare due giorni a Cannes il regista e i suoi attori dovessero per sempre cambiare casa vita e continente.

Tra l’altro i massimi stilisti del globo sono già in sede allocati in suites stracolme di abiti da sogno che sono ben lieti di mettere a disposizione delle star, purché li indossino sul tappeto rosso, e sarte velocissime ad adattarli a qualunque esigenza. Dunque, l’unica cosa che uno penserebbe di doversi portare da casa, un paio di vestiti decenti, non serve. Bagaglio leggero, il vero privilegio.

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Sulla spiaggia girano gruppi di ragazzini, uno ha il megafono, cercano biglietti per entrare a vedere The Idol, l’anteprima della nuova serie di HBO del creatore di Euphoria. Per due giorni non si parla d’altro. Tutti: critici stremati la notte nei bar, uffici stampa e pr, commessi nei negozi di lusso e cassiere dell’unico supermercato della cittadina, preso d’assalto dai meno abbienti – gli ultimi free lance rimasti, ormai diserbati dalle programmazioni delle attività stampa organizzate per testata.

L’eco dura nei giorni successivi. Non c’è chi non dica la sua su Lily-Rose Depp, sulla storia di sesso droga violenza e così vanno le cose al mondo, si sa come funziona il Sistema. Che in effetti sarebbe interessante, discutere di come funziona il sistema, ad avere a disposizione qualcuno di arguto con cui farlo (un giovane talento? Un venerato maestro?) senza essere intercettati dal sorriso feroce di un falco di ronda.

In un monologo interiore, uno si dice: pensa un po’, le serie sono bandite dal festival e però è di una serie che tutti parlano. Strana certe volte la vita. Intendo: la vita vera com’è, quella rappresentazione che abbiamo lasciato che diventasse. Poi, certo. Nelle sale c’è il cinema. La bellezza, il sogno, la visione del futuro. Ma quello lo fanno gli artisti, di solito nella solitudine del loro foro interiore. Senza un Picasso hai voglia a costruire musei.