All’interno della generazione di cineasti venuta alla ribalta alla fine degli anni novanta, Wes Anderson è di gran lunga colui che ha lo stile più identificabile e imitato. Esistono registi che godono di un apprezzamento critico anche superiore, come il suo omonimo Paul Thomas, ma il regista dei Tenenbaum ha una dimensione di culto che trascende l’esperienza cinematografica.
Recentemente è esploso su TikTok il fenomeno di giovani che filmano momenti della propria vita nel suo stile, ed esistono persino matrimoni organizzati alla sua maniera, con i colori di una pasticceria alla moda. Non solo: mentre scrivevo questo articolo ho scoperto che qualcuno ha realizzato, in stile Wes Anderson, persino un filmato del presidente Mattarella. I motivi di questa identificazione sono molteplici, a cominciare da un talento indubbio e un’eleganza eccentrica che lo rendono il primo personaggio dei suoi film.
Wes Anderson – il cui nuovo attesissimo lavoro, Asteroid City, approda il 23 maggio a Cannes – seduce il pubblico con un’immagine studiata minuziosamente, all’interno della quale convivono energie opposte: un ordine basato su simmetrie rigorose e un anelito di libertà che si esprime attraverso composizioni inaspettate che suscitano un incanto che sconfigge la malinconia.
Il suo cinema si impone grazie a questo contrasto, che interpreta perfettamente molti sentimenti contraddittori dei nostri tempi: in Wes Anderson c’è un’estenuata ricerca di ordine, condotta con la serietà assoluta con cui giocano i bambini. Non c’è nulla di autoritario, quindi, e si rimane all’interno di una dimensione fiabesca: è quello a cui aspirano i matrimoni a tema, i filmati TikTok e i suoi tanti epigoni cinematografici.
Il miracolo di questo regista texano che vive tra Parigi, New York e la campagna inglese, è aver creato un universo assolutamente compiuto che si discosta appena dalla realtà, e nel quale desiderano vivere i suoi ammiratori. Tuttavia ciò che lo rende un artista autentico e originale è che l’ossessione con cui crea questa verità parallela, tenera e bizzarra, riesce a essere perennemente lieve e trova la propria catarsi nell’ironia.
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