Non è in concorso, ma Micaela Ramazzotti si dice “felice” così. Il suo esordio alla regia, Felicità, arriva oggi a Venezia nella sezione Orizzonti Extra per un’uscita in sala prevista il 21 settembre: una storia molto dura, quella di una coppia di fratelli (Ramazzotti e Matteo Olivetti) cresciuti nella periferia di Roma da due genitori mostruosi – la madre (Anna Galiena) ossessiva, il padre (Max Tortora) approfittatore – che cercano di emanciparsi da una famiglia disfunzionale.
Al centro di tutto c’è lei, Desirèe, parrucchiera cinematografica e compagna di un uomo più grande (Sergio Rubini), un intellettuale di sinistra che fa quel che può per aiutarla. “Lei è una donna profondamente infelice, abusata psicologicamente dai genitori e fisicamente dallo zio, che usa la seduttività come uno strumento per far pace, per far tutto – ha spiegato la regista, 44 anni, a margine della conferenza stampa al Lido – È l’unica via che conosce. Anche secondo molti psicoterapeuti, con cui ho parlato per preparare il film, il suo è un comportamento frequente nei casi di abuso”.
Il desiderio di esordire alla regia – dopo una carriera da attrice iniziata nel 1999, con La via degli angeli di Pupi Avati – sarebbe arrivato, anche quello, come “un’emancipazione. Ci ho messo un po’, ma alla fine ce l’ho fatta” ha detto Ramazzotti (la trasformazione ormai è compiuta: “Giro sempre con un quadernetto in mano per prendere appunti, scrivere altro. Sto già pensando a qualcosa di nuovo da girare, si vedrà”).
I venti di trasformazione che attraversano l’industria, tra scioperi, rivendicazioni e crisi delle sale, non spaventa la Ramazzotti regista: “Io la vedo piuttosto come una grande opportunità. Le piattaforme danno lavoro a tantissime persone e permettono ai ragazzi di vedere film che altrimenti non conoscerebbero. Che una storia sia fatta per il cinema o la tv non fa differenza: alla Berlinale abbiamo vinto l’Orso d’Oro con una serie, The Good Mothers (di Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, ndr). Più che spaventata, mi sento stimolata a continuare”.
Quanto ai contenuti del film, ricorrono nella sceneggiatura – scritta da Ramazzotti con le amiche Isabella Cecchi e Alessandra Guidi – temi che la regista romana ha già frequentato nel suo percorso professionale, spesso diretta dall’ex compagno, il regista Paolo Virzì: “Ci sono due mondi a confronto, quello dell’intellettuale di sinistra Bruno, che vive all’Esquilino, e quello della famiglia Mazzoni, di destra, gente inattrezzata che vive a Fiumicino, una zona vicina a quella in cui sono nata io. E poi c’è la linea diciamo psichiatrica: ho sempre interpretato personaggi ‘difettati’, nati ‘storti’. Persone che non riescono a stare al mondo. Il mio obiettivo è sempre stato quello di accendere un faro su chi si alza, diciamo, con i moscerini nella testa. L’infelicità rende depressi, ma la felicità, che dura un attimo, ti può accendere. Vorrei che il mio film parlasse allo spettatore di questo: il coraggio di andar via, di intercettare la malattia e liberarsene”.
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