Populismo, criminalità finanziaria, migrazioni: così il cinema alla Mostra scopre la grande politica

Tra i lavori migliori visti a Venezia 80 ecco due film che affrontano temi centrali e inafferrabili: da un lato i populismi e la deriva demagogica delle democrazie europee, dall’altro le strutture evanescenti del capitale finanziario. Sono Explanation for Everything dell'ungherese Gabor Reisz e The Killer di David Fincher. Aspettando Io Capitano, di Matteo Garrone...

Inaspettatamente, tra i lavori migliori visti finora a Venezia ci sono due film politici. Di più: due film che affrontano temi centrali e inafferrabili, temi che i politici non riescono a interpretare e governare, e che sono difficilissimi da rendere sullo schermo. Da un lato i populismi e la deriva demagogica delle democrazie europee, dall’altro, nientedimeno, la struttura evanescente con cui il capitale finanziario governa il mondo.

Minuzioso realismo

Non si potrebbero immaginare due titoli più diversi: un film ungherese di due ore e mezza, di solido, minuzioso, appassionante realismo, e un thriller americano prodotto da Netflix e tratto da un graphic novel. Explanation for Everything di Gabor Reisz, già vincitore del Torino Film Festival 2018 con Bad Poems, racconta una vicenda semplice moltiplicando i punti di vista, ma senza acrobazie narrative. Un ragazzino timido e un po’ tonto, figlio di una famiglia di seguaci di Orban e innamorato di una ragazzina invece intelligentissima e di sinistra, fa scena muta al colloquio di storia durante l’esame di maturità. Per giustificarsi, dice ai genitori che un docente lo ha preso di mira per via della coccarda tricolore (assurta negli ultimi tempi a simbolo di riconoscimento nazionalista) che per caso lui aveva all’occhiello durante il colloquio. La voce si sparge involontariamente, scoppia un caso.

Una scena da Explanation for Everything

Una scena da Explanation for Everything

Le posizioni sono sfumate, i personaggi vengono raccontati separatamente: il professore, non esente da presunzione e narcisismo; i genitori del ragazzo, frustrati e ottusi ma non mostri. E ovviamente i ragazzi (quella “di sinistra” e quello “di destra”), atoni o vitali ma comunque smarriti, e nei quali il regista non rinuncia comunque a porre, se non speranze, una carità di sguardo.

Il male transnazionale

The Killer, il nuovo film di David Fincher, racconta in maniera lineare, come un teorema, una vicenda semplicissima: un killer gelido, razionale, quasi non-umano, per la prima volta uccide la persona sbagliata. La sua donna, a Santo Domingo, viene ridotta in fin di vita per vendetta. Allora lui comincia a colpire, sempre con la freddezza di un compito assegnatogli, gli esecutori i mediatori e i mandanti, sempre più su.

Ci si accorge ben presto che il killer, la sua etica e il suo metodo, sono semplicemente quelli di un qualunque agente di borsa o di dirigente di multinazionale. E la sua vendetta lo porterà da Parigi a Santo Domingo a New York a New Orleans, risalendo una catena che forse idealmente è acefala. L’imprevedibilità di un male transnazionale, le conseguenze delle decisioni che si spandono per il globo senza che nessuno sia direttamente responsabile, ma infine ricadono sulle vite e sui corpi: Fincher racconta tutto questo con uno stile teso, pochissimi dialoghi, una voce over che anziché farci immedesimare ci tiene a lucida distanza dal protagonista.

Temi politici

I due temi centrali di oggi, si diceva, che la politica on è in grado di affrontare. Se a essi si aggiunge che nei prossimi giorni arriverà al Lido Io Capitano di Matteo Garrone, che affronta direttamente il terso grande tema dei nostri tempi, le migrazioni dall’Africa, e da cui ci si aspetta molto, sorprendono il coraggio e le ambizioni di questi autori, rari in un panorama internazionale confuso e attorcigliato su se stesso.

Il set di Io Capitano, di Matteo Garrone

Il set di Io Capitano, di Matteo Garrone

Il cinema e l’arte non devono e non possono offrirci risposte, ma spiazzare il nostro punto di vista e cercare linguaggi che, obliquamente, senza consolare né semplificare, ci mettano in crisi, e trasformino le complessità del presente in immagini, storie, dubbi, ricerca di altre dimensioni.