I have a dream. Almeno dopo aver visto One Day All This Will Be Yours. Un film parodia – chissà, magari l’hanno fatta – sui topoi narrativi scandinavi. Sui thriller in paesaggi lunari, sulle storie d’amore tra belle e bestie, sul rapporto un po’ insano con animali, tradizioni, fiabe antiche. E ovviamente sulla letale piaga delle ricorrenze, da Santa Klaus ai genetliaci di anziani genitori.
Eh sì, perché anche se stiamo parlando probabilmente dell’area geografica più in salute cinematograficamente parlando, è pur vero che nessuno di noi, sano di mente, dopo anni di film dal Nord Europa, parteciperebbe più a un pranzo di famiglia, a un compleanno di un nonno, neanche a una comunione, da Copenaghen a Stoccolma.
State sicuri, infatti, che se mettete una famiglia norvegese, danese, islandese, finlandese o svedese attorno a un tavolo, finito l’antipasto si saranno rivelati segreti terribili, accusati ferocemente della morte di un parente stretto, radiografato le rispettive vite ovviamente per demolirle.
One Day All This Will Be Yours, la trama
Vale anche per One Day All This Will Be Yours di Andreas Öhman che peraltro ci squassa il cuore con la dedica finale che ci rivela d’averci appena raccontato il buco nero emotivo che lo ha risucchiato per anni, capovolgendolo, una delle scelte cinematografiche e sentimentali più struggenti e romantiche mai viste su grande schermo (non possiamo dirvi di più per non rovinarvi il film, che merita una distribuzione italiana).
One Day All This Will be Yours
Cast: Karin Franz Körlof, Peter Haber, Suzanne Reuter, Liv Mjönes, Mattias Fransson, Emil Almén, Arvin Kananian, Filip Berg
Regista: Andreas Öhman
Sceneggiatori: Andreas Öhman
Durata: 105 minuti
Lisa è una cartoonist dall’umorismo pungente, scorretto e acido, ama usare la sua arte come uno specchio deformante, o forse, in realtà, fedelissimo e onesto fino all’estremo (come è lei, che rifugge l’ipocrisia almeno quanto la felicità) di ciò che la circonda. I suoi genitori vogliono lasciare ai figli la loro foresta, frutto dei sacrifici di tre generazioni. La madre sta per compiere 70 anni e i due desiderano lasciare in vita quest’eredità (e così quell’yours è perfetto nell’ambiguità del titolo: un giorno tutto questo sarà tuo o, appunto, vostro).
Un compleanno e un’eredità. In Scandinavia questo potrebbe portare a una guerra nucleare, ma i Johannson in fondo mantengono una certa civiltà, si massacrano solo emotivamente anche perché, come ti sbagli, sono torturati dallo stesso dolore, da un ricordo sepolto e sempre presente. Un fantasma, vero e proprio. E qualche segretuccio sparso, ça va sans dire.
Lisa da lì è fuggita e ora vorrebbe tornare, per sempre. O fuggire in direzione ostinata e contraria, chissà.
Lisa ha il viso bellissimo e affilato di Karin Franz Körlof, straordinaria nell’incarnare tutte le sfumature di un’inquieta disperazione, del senso di colpa, del desiderio d’amore e di felicità che sembra però sabotare regolarmente. Ovviamente al momento della festa ci sarà un violento redde rationem, perché la tragedia scandinava esige un tavolo come altare sacrificale.
La recensione del film di Andreas Öhman
Öhman ci svela solo alla fine quanto sia stato bravo a dipingere il suo Rachel Getting Married (sono tanti i punti di contatto con il capolavoro sottovalutato di Jonathan Demme), quanto abbia scavato nel suo dolore profondo e quanto cinema abbia saputo fare nell’intonare gli attori in una sinfonia di famiglia, nel capovolgere, rispetto alla realtà, genere e caratterizzazione della protagonista, quanto la finzione si innesti nella verità con delicatezza ruvida, la stessa di Lisa (e del cineasta), animale selvatico e dolcissimo chiuso nella gabbia dei suoi ricordi, della sua incapacità di perdonarsi, nella voglia di ritrovarsi, forte almeno quanto quella di punirsi.
Öhman non cerca particolari innovazioni nei movimenti e nell’estetica, segue uno stile che abbiamo già visto in altri colleghi delle stesse latitudini, però appare sempre altro e alternativo ad essi. Un po’ per quell’animazione semplice, stilizzata, organica al racconto, che arriva sempre all’improvviso, mai invadente ma sempre presente, e si amalgama alla perfezione col tessuto del film, nella sua scrittura e nelle sue immagini, un p0′ perché accetta gli archetipi culturali e cinematografici del cinema del suo paese, della sua area geografica, ma al suo interno si muove rifiutando i bivi scontati.
Ecco allora che come in Demme, a volte esce fuori un umorismo straniante, tenero, inevitabile (l’immagine dei suoi due “uomini”, così diversi, sotto lo stesso ombrello è irresistibile), altre una lacerazione emozionale, della protagonista ma anche dello spettatore, in un dettaglio, in un frammento, in un fotogramma veloce come la dedica alla fine dell’opera. Ed è probabilmente questa la grande forza di un cinema che nei suoi luoghi comuni (e va intesa come espressione letterale, nel senso di condivisi e non di scontati) ospita tanti cervelli, cuori, forze creative e permette a molti artisti, che siano registi, sceneggiatori e attori – che mai come nelle cinematografie scandinave hanno una cifra autoriale -, di muoversi in quel recinto con una libertà morale, espressiva, narrativa molto rare altrove.
Complimenti al Seattle International Film Festival per aver scovato questo film e al Rome Film Fest per averlo portato in Italia.
Un’ultima avvertenza: preparate i fazzoletti. E la proposta di matrimonio per Karin Franz Körlof.
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