Questa Roma senza tempo un po’ Babylon, un po’ La Dolce Vita: è il miracolo di Costanzo

Da quanto tempo non vedevamo rievocare il cinema, la sua miseria, la sua grandezza, la sua follia, con tanta forza e precisione? Finalmente l'alba approda a Venezia 80 con suoi echi lontani, che vanno da Bellissima a Pasolini, per raccontare una Hollywood sul Tevere affamata che viene a chiederci il conto, reinventando un mondo scomparso

Geniale. Non ci sono altre parole. Un film “spirituale” come usava negli anni 50, che una volta si sarebbe fatto con due lire a casa di amici, con gli amici come comparse, diventa il più costoso di oggi e forse di sempre. La storia più vecchia del mondo – il tenero virgulto, la giovane innocente, la pecorella assediata dalla corruzione e addirittura da Hollywood – diventa nuova come se fosse stata pensata ieri. Anche perché il cinema di oggi lo sappiamo a memoria, conosciamo ancora prima di vederli i divi, i quasi divi, i comprimari, perfino le comparse sembra di averle già viste. Mentre in Finalmente l’alba di Saverio Costanzo tutto torna miracolosamente nuovo proprio perché è antico è impastato di memoria.

Gli interni piccolo borghesi, i cinema affollati degli anni 50, l’incanto di piazza di Spagna, il fidanzato impresentabile e sudato, la mamma che fa assaggiare il sugo al papà, la sorella bella che sembra quella predestinata, invece dopo due scene sparisce… E poi, signore e signori, Cinecittà!

Grandezza e follia

Da quanto tempo non vedevamo rievocare il cinema, la sua miseria, la sua grandezza, la sua follia, con tanta forza e tanta precisione? Perché il cinema, quel cinema, non esiste più, lo sappiamo da un pezzo ormai, ma sopravvive come mito. Cinecittà è un sobborgo di quella gigantesca telecittà che avvolge come una tela – in inglese si dice web – il primo, il secondo, il terzo e il quarto mondo – e la Hollywood sul Tevere è un reperto archeologico come la Villa dei Quintili che fa da teatro a una scena chiave.

Ma c’è chi attraversa l’oceano per venire a perdersi sulla via Appia e se per questo anche nella Monument Valley, nulla è più carico di senso e perfino di promesse delle rovine, soprattutto se sono state consacrate dal cinema. Quindi rieccoci nel film di Costanzo con tutti i suoi echi lontani, un po’ La dolce vita, un po’ Bellissima, un po’ i film scritti dal Pasolini sceneggiatore, con quella Roma torpida e ancora affamata che si risveglia sotto i nostri occhi come se venisse a chiederci il conto. Come se ci prendesse per mano e chiedesse di esistere ancora un po’ grazie a noi, permettendo anche a noi di esistere un po’ di più.

La chiusura di un cerchio

Sono miracoli che avvengono solo al cinema, che è fin dalle origini un fenomeno di ordine religioso, c’è almeno un altro regista in giro che questa cosa l’ha capita benissimo e ha capito anche che è inutile fare filologia, tutto va continuamente reinventato, riscritto, resettato, si chiama Damien Chazelle, è il presidente della giuria. Da qualche parte Finalmente l’alba è così vicino a Babylon che potrebbe anche detestarlo ma forse se ne innamorerà. E anche se non gli desse un leone poco importa, un leone nel film c’è già anzi una leonessa e vedrete quanto è importante.

Finalmente l'alba

Rebecca Antonaci in una scena di Finalmente l’alba di Saverio Costanzo

Anche perché con questo film ambientato nei giorni del delitto Montesi, Costanzo in qualche modo chiude il cerchio aperto tanti anni fa. Prima girando una serie scritta dagli israeliani ma resa famosa dagli americani e fatta anche dagli italiani, In Treatment; poi facendo un film in America con sua moglie e con la star del nuovo Guerre Stellari, Adam Driver; quindi reinventando l’Italia del dopoguerra e oltre, Napoli questa volta, per il pubblico mondiale delle serie, con L’amica geniale.

Finalmente l’alba per star capricciose

E adesso che il giro è finito può permettersi il colpo da maestro: un film totalmente d’autore che costa quasi 30 milioni in cui gli unici divi, Lily James e Joe Keery, recitano accanto alla bravissima esordiente Rebecca Antonaci, protagonista assoluta, nei panni di due capricciose star della Hollywood sul Tevere arrivate a Roma per interpretare una simil Cleopatra, ma pronti a imbarcare quella ragazza sprovveduta in una notte senza fine e senza limiti. Mentre Alba Rohrwacher può fare tranquillamente Alida Valli, a cui non somiglia più di quanto la Margot Robbie di Babylon non somigli a Mary Pickford o a Theda Bara, per citare due dive del muto, perché rappresenta noi, il presente, il nostro sguardo su quell’epoca (quello che manca crudelmente nel Comandante di De Angelis), come le belle musiche di Massimo Martellotta che scandiscono l’assalto dei romani alla Hollywood sul Tevere.

Altro non diremo perché una volta tanto Finalmente l’alba non racconta una storia, non segue una trama, non sfrutta le immagini dei propri attori, ma mobilitando un cast di facce quasi tutte mai viste (con l’eccezione di Willem Dafoe nei panni di un gallerista americano), e con l’aiuto di una poesia di Pavese, reinventa un mondo scomparso per portarci dentro i suoi personaggi, dove accadono davvero le cose. E questo oggi non succede quasi più.