La Mostra di Venezia comincia la corsa verso il Lido e la prima a calare le carte è la Settimana internazionale della critica (SIC), la sezione competitiva fondata dal critico Lino Micciché nel 1984 e diretta dal 2021 dalla giornalista triestina Beatrice Fiorentino. Sette i lungometraggi in concorso nella 38esima edizione – tra loro un italiano, il documentario About Last Year di Dunja Lavecchia, Beatrice Surano e Morena Terranov – tutti esordi scelti tra i 500 titoli arrivati in selezione: molto cinema di genere, “imponente la presenza femminile”, ricerca, indipendenza e sperimentazione tra gli obiettivi dei selezionatori.
Il film di apertura è God is a Woman di Andrés Peyrot, quello di chiusura l’horror sociologico Vermin di Sébastien Vaniček. Sul rigoroso tappeto rosso della sezione anche una piccola star, l’inglese Joseph Queen (l’Eddie Manson di Stranger Things), la cui presenza – nonostante la possibile solidarietà allo sciopero degli attori hollywoodiani – sarebbe al momento garantita.
Signora Fiorentino, quali ripercussioni avrà lo sciopero sulla Mostra di Venezia?
Osserviamo l’evento con preoccupazione, anche se dal nostro punto di vista cambia poco. Ci occupiamo di opere prime e gli Stati Uniti sono uno dei territori con cui facciamo più fatica a dialogare. La scoperta del cinema indipendente ci porta più spesso in Europa, che quest’anno ha una presenza molto florida e di eccellente qualità.
L’assenza di star americane – che ha comportato il ritiro dalla selezione ufficiale di The Challengers di Luca Guadagnino, con Zendaya – sarà un problema per Venezia?
L’assenza delle star ci dà l’occasione per ripensare non solo lo star system in generale, ma anche la missione culturale di un festival. Non si capisce perché un film non possa partecipare se mancano le star. Io penso che dai momenti di crisi nascano delle opportunità. Prendiamo il toro per le corna e affrontiamo il problema: il mondo della comunicazione, della distribuzione e della produzione sta cambiando. Mutano le possibilità di accesso a certi film. Si radicalizza l’influenza delle vendite. Cambia tutto: devono cambiare anche le regole.
Un film italiano in concorso alla SIC: cosa può dirci?
Sul film italiano siamo tutti molto molto entusiasti, perché è stata una sorpresa assoluta. Un film arrivato dal nulla, senza “padrini”. Si è iscritto, l’abbiamo visto molto presto, e messo subito in short list. Quest’anno abbiamo ricevuto 50 opere prime italiane, ma ci è piaciuto lo sguardo di questo film. È cinema. I registi hanno un punto di vista su una situazione (quattro donne etero nel mondo “fluido” del ballroom di Torino, ndr) e la guardano con rispetto. Non occorre avere una produzione economicamente sostanziosa per eccellere. Quando c’è il cinema, c’è tutto.
C’è un filo rosso che accomuna i film della sezione?
Sono sguardi diversi, ma accomunati dalla priorità data all’immagine, dalla voglia di osservare e raccontare, film aperti al pubblico ma con la voglia di rischiare. Sette film, più due fuori concorso, che prendono una posizione ed esprimono un punto di vista. Film molto attaccati al presente. C’è tanto genere, dai vampiri che annunciano la fine del patriarcato ai ragni infestanti, dal noir alla fantascienza.
Mi dica di più dei ragni infestanti.
I ragni infestanti sono una metafora della minaccia neocapitalista nelle banlieue parigine. Il film si chiama Vermin, di Sébastien Vaniček. I protagonisti sono dei ragazzi che rivendono al mercato le scarpe Nike, un oggetto che tutti, anche se non hanno denaro, vogliono possedere. Ma i ragni si propagano proprio da quelle scatole…
Qual è il paese più forte in selezione?
Non a caso l’apertura e la chiusura arrivano dalla Francia. Il cinema francese è in uno stato di salute innegabile. L’industria è forte e di grande qualità. La sorpresa di quest’anno è l’Inghilterra. Abbiamo due film inglesi, fra cui l’esordio di una ragazza di 26 anni, Luna Carmon, con Hoard. Un film sull’accumulo, anche respingente, ma mai sgradevole in modo gratuito, nel segno del realismo magico. L’altro inglese, Sky Peals di Moin Hussain, è un film di psico-fantascienza su uno stato di alienazione, con un protagonista alla ricerca di padre scomparso.
Tra i corti ce n’è uno, De L’amour perdu di Lorenzo Quagliozzi, prodotto da Paolo Sorrentino. Quando avete scoperto che era suo?
Ho visto il link del film senza saperlo: a volte le copie che ci arrivano sono ancora senza titolazione. Racconta una piccola vicenda intima ma anche universale, la storia di un amore ambientata durante l’occupazione nazista in Francia Un corto di un equilibrio perfetto e commovente. Sorrentino? Non ha fatto nessuna pressione, nessuna chiamata.
Liliana Cavani, con Incontro di notte, apre la sezione dei corti. Ha un significato particolare?
È un film che va letto in combinazione al Leone alla carriera di Cavani: sono molto grata alla fondazione Centro sperimentale di cinematografia che ha reso possibile la digitalizzazione, e ci tengo a dirlo. Ci sembrava che racchiudesse il senso della SIC: la prima regia di una cineasta proiettato nell’anno in cui riceve il Leone. Si chiude il cerchio.
Scioperi, occupazioni, un’industria che si interroga: che idea si è fatta di questo momento storico?
Vedo un gran casino. E un’urgenza seria. Non credo si possa dire che “andrà tutto bene”, come si faceva in pandemia. Sento il bisogno di sederci tutti quanti, seriamente, a un tavolo. Smettiamola di difendere ciascuno il suo orticello. Adesso dobbiamo andare tutti nella stessa direzione. Sarei pazza se non guardassi con preoccupazione l’entrata in campo di tanti elementi, anche nuovi: non possiamo continuare a ragionare con le regole del passato. Bisogna azzerare tutto e ripartire.
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