Raoul Bova. Al panel dedicato a I fantastici 5 ne La Villa, casa base di The Hollywood Reporter Roma a Venezia, il 7 settembre, è stata la parola più pronunciata. Perché c’è chi interpreta il buono e chi lo incarna, ne diventa l’icona, riesce in qualche modo a dare ai sentimenti positivi e propositivi dei lineamenti chiari. Ecco perché quando Lux Vide, società del gruppo Fremantle, in collaborazione con RTI, ha deciso di raccontare l’unione bella e complessa che c’è tra disabilità e sport, quando ha affrontato la sfida di raccontare il paralimpismo, la scelta del ruolo dell’allenatore protagonista è caduta, naturalmente, inevitabilmente su questo ex nuotatore agonista dalla carriera pluridecennale da attore.
La serie andrà in onda su Mediaset nel 2024 – magari sfruttando l’attesa per il grande evento delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi della prossima estate a Parigi – ed è stata presentata proprio alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dal cast degli attori principali (oltre a Raoul gli ottimi Enea Barozzi, Fiorenza D’Antonio, Vittorio Magazzù e Chiara Bordi) ma anche da tre vere campionesse paralimpiche, medagliate a Tokyo 2021, Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contraffatto. E dirigenti televisivi, sponsor, il segretario del comitato paralimpico a sottolineare l’importanza di un racconto diverso e possibile su giovani uomini e donne che compiono imprese sportive, che soffrono come tutti per le loro ferite quotidiane dell’anima, che vivono un’adolescenza tormentata. Non la “solita” storia su disabili con storie private difficili, eroi senza macchia e paura, da santificare e non mostrare nella loro normalità. “Perché – come dice Martina Caironi – siamo persone che hanno persino il diritto di essere stronze, arrabbiate, se la giornata è storta”. Non un prodotto paternalista, ma uno sguardo in cui tutti potessero riconoscersi.
“È importante, prima ancora che cercare un ruolo in cui metterti alla prova come attore, fare qualcosa che possa fare la differenza – sottolinea Raoul Bova – e se ora sono un’icona che trasmette valori positivi, non la considero una responsabilità, ma un privilegio”. E da ex sportivo agonista, si è preparato a lungo “per raccontare un allenatore che non fosse simile a troppi stereotipi. Io ho provato su me stesso il dolore dell’atleta che non vince e diventa poco interessante per l’allenatore, in cui vittoria e sconfitta sono un termometro dell’affetto altrui. Ecco perché mi piace dire che I fantastici 5 è una serie sulla felicità, prima che sulla disabilità e lo sport”.
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