C’è un cruccio, un grande cruccio che attanaglia Carla Lugli nelle frenetiche ore prima della serata inaugurale di questa ottantesima Mostra del Cinema di Venezia: suona meglio dire “La ottantesima”, o “L’ottantesima”, con l’apostrofo? “Ci devo riflettere, sono corretti entrambi, è una questione stilistica”, dice, mentre sale le scale che la portano al suo quartier generale, il gabbiotto in alto nella Sala Grande, al Palazzo del Cinema, proprio accanto allo spazio dedicato ai proiezionisti.
Non è un cruccio da poco: la kermesse al Lido pende dalle labbra di Carla. Letteralmente, perché lei, da 20 anni, è la voce fuori campo ufficiale del festival, quella voce – flautata, elegante, dalla dizione perfetta, in poche parole inconfondibile – che introduce tutte le prime dei film che popolano il festival. Originaria di Udine, residente a Roma, oltre al suo lavoro al Festiva fa la speaker e le audiodescrizioni per ciechi per i film. Dietro quella semplice frase “La festa internazionale dell’arte cinematografica di Venezia presenta…” c’è un lavoro meticoloso, fatto di segni grafici e incontri con le delegazioni dei film per comprendere la pronuncia esatta dei nomi, che pochi conoscono davvero.
Come è approdata al Festival?
Sono una speaker per caso. Non vengo dal mondo della recitazione o del doppiaggio. Ho studiato per la prima volta dizione dopo i 30 anni, e l’ho fatto per interesse personale. Volevo imparare a parlare meglio. Da lì ho iniziato a lavorare in radio, e un giorno, nel 2004, un mio ex collega di una radio friulana, Federico Spoletti, che ha una società che fa i sottotitoli per i film di tantissimi festival compreso quello di Venezia, mi ha detto che la voce precedente se ne stava andando, e la posizione era aperta. Ho mandato un provino e sono stata presa il giorno stesso. Era la prima edizione guidata da Müller. E lui è un cultore delle lingue, ne parla ben 11, quindi ho sentito una grandissima responsabilità addosso!
E lei, parla altre lingue oltre l’italiano?
No, sono una speaker rigorosamente di lingua italiana, parlo un inglese da schifo!
Eppure non si direbbe, pronuncia con facilità nomi molto complessi, di autori stranieri. Come si prepara?
La parte più grande e importante del mio lavoro è proprio questa. Durante i festival ho decine di appuntamenti ogni giorno, incontro ogni singola delegazione dei film, e mi faccio ripetere più volte i nomi, li appunto con i segni grafici – accenti, pronunce particolari – negli ultimi anni ho anche cominciato a registrare. E’ una grande responsabilità, il Festival di Venezia ci tiene tantissimo alla corretta pronuncia dei nomi degli ospiti, il mio è un ruolo istituzionale e la paura di dire castronerie è enorme…
Esiste una figura come la sua in altri festival?
A Cannes sì, ma tutti i nomi stranieri vengono “francesizzati”, sapete come sono i francesi, molto protezionisti nei confronti della lingua. Non credo che ci sia un altro festival internazionale attento alla pronuncia corretta come Venezia.
Quali le lingue più ostiche?
Decisamente quelle asiatiche! E con Müller è stato un battesimo di fuoco, perché negli anni della sua direzione il Festival si è molto aperto alla cinematografia di quel continente. Ne ha avute da ridire sulla mia pronuncia, ma mi sono sempre molto impegnata. E’ bellissimo scoprire i suoni delle lingue, la cadenza, gli accenti. E imparare a parlare è un modo per imparare a pensare.
In che senso?
Quando studi dizione scopri qualcosa di te stesso. Modifichi il modo di parlare, modificando suoni che sei abituato a pronunciare da sempre. E per farlo devi fermarti un attimo, pensare bene a ciò che dici: a lungo andare diventa un esercizio costante. Impari ad avere controllo della voce, ma anche della vita. Non è un caso che non mi arrabbio mai, non sbotto. Piuttosto conto fino a 10 e dico cose molto precise.
…e con una dizione perfetta! Torniamo al festival. Ha mai fatto delle gaffe?
Certo che sì! Una volta addirittura – non vi dirò che film era – non ho presentato l’interprete principale del film! Non è stata colpa mia, c’era stato un disguido con la delegazione. Fatto sta che è stato il regista a presentare il suo talent: il pubblico si è molto divertito, io un po’ meno. Fu molto divertente quella volta con George Clooney…
Ci dica.
E’ successo qualche anno fa, aveva il film di apertura. Quell’anno erano stati fatti dei lavori alla mia ‘piccionaia’, che rendevano impossibile avere la visione della platea sotto di me. Quindi non vedevo il cast. A un certo punto, mentre leggevo i nomi, invece del solito applauso ho iniziato a sentire risate dal pubblico. Ma non vedevo e non capivo. Solo dopo mi hanno spiegato che alcuni degli interpreti avevano lasciato la sala prima dell’inizio del film, quindi io li chiamavo ma loro non c’erano, e Clooney – il solito burlone – ogni volta che sentiva il nome di un assente correva a sedersi al suo posto e si fingeva quella persona, con tanto di saluti e inchini. Posso dire di essere stata la voce narrante di uno degli scherzi di Clooney.
Ricorda un momento particolarmente difficile?
Il primo anno, durante una proiezione di un film con Al Pacino, la sala era gremita oltre i limiti. E mi chiedono di fare un annuncio per far uscire cortesemente gli ospiti senza posto a sedere. Lo faccio, un po’ timidamente, e si leva un boato pazzesco, un’ondata di odio diretto verso di me. E’ stato terribile. Ma avevo accanto a me un fonico di grandissima esperienza, che senza scomporsi ha alzato il volume al massimo e mi ha solo detto “rifallo”. L’ho rifatto. Ha funzionato. Lui mi ha guardato e mi ha detto “Sembravi dio”. In quel momento ho capito quanto contasse davvero il mio ruolo.
Il momento più bello?
L’incontro con Fernanda Pivano. Era molto anziana, credo sia venuta qui un anno prima di morire. Parlammo a lungo, nel mio ufficio, le dissi quanto avevo amato i sui libri. E’ stata l’unica volta che mi sono davvero emozionata a conoscere qualcuno di famoso. E lei se ne deve essere accorta, perché, alla fine della nostra chiacchierata, mi disse “lei è il più bell’incontro che mi è capitato al Festival”.
Cosa ha imparato in 20 anni di Venezia?
Del Festival il pubblico vede il glamour, ma in questi anni ho conosciuto centinaia di professionisti dall’immensa competenza, persone che creano questa “macchina”, che le persone non vedono, ma percepiscono. Dietro le quinte c’è un altro mondo, ed è bellissimo.
Per concludere: crede che il suo lavoro potrebbe essere sostituito dall’intelligenza artificiale?
Perché no! E se succederà, che dire, troverò altro da fare!
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma