Siamo tutti comparse nelle vite degli altri. Le nostre strade si incrociano in continuazione nella giungla urbana, nei viaggi in metropolitana, per le vie grigie delle città. Songs for a Passerby ce lo ricorda con semplicità disarmante.
L’installazione dell’artista Celine Daemen, che l’anno scorso era a Venice Immersive con Eurydice, è un’opera in realtà virtuale tetra e spettacolare, ma allo stesso tempo delicata, dolce e malinconica. Ispirata alla poesia The Eight Elegy del poeta ceco Rainer Maria Rilke, Songs for a passerby ci trasporta in un oblio da spiriti vaganti: anime in pena in mezzo a centinaia (anzi migliaia) di anime in pena. Ognuna con la sua storia, i suoi disagi, le ansie, i dolori. Storie che esistono, ma che non conosciamo. Perché tutto corre alla velocità della luce, nello strano gioco della vita.
Non c’è tempo per conoscere gli altri e capirli. In Songs for a Passerby siamo “passanti empatici” che ascoltano, in silenzio. I momenti della vita, si chiede l’autrice olandese, ci attraversano? O siamo noi che attraversiamo loro?
Songs for a passerby, il rumore dei pensieri
Quella di Songs for a Passerby, una volta indossato il visore per la realtà virtuale, è un’esplorazione zen in un vortice malinconico di scannerizzazioni e fotogrammetrie di attori, muri e strade, transizioni elaborate e slanci creativi (nonostante i limiti della tecnologia VR). A terra, nello spazio dell’installazione al Lazzaretto Vecchio, è disegnato un grande quadrato. I visitatori hanno i piedi scalzi: “Non è necessario levarsi le scarpe, ma in molti lo fanno”, dice la guida con voce calma e avvolgente, come se quel luogo fosse un tempio costruito per riconnettere gli esseri umani tra loro.
Camminare a piedi nudi sul tappeto aggiunge un’ulteriore dimensione all’esperienza virtuale, mentre sullo schermo compaiono tunnel bui e scorci di una città in fermento. Voci che si accavallano, corpi in movimento diretti chissà dove, silenzio rotto dallo sferragliare della metropolitana. E il rumore dei nostri pensieri. Noi: distanti, ma terribilmente vicini.
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