Vedendo Avamposto, il bel film di Edoardo Morabito passato alle Giornate degli Autori, scoprirete un personaggio pazzesco: Christopher Clark, scozzese, eco-guerriero. Uno che voleva salvare l’Amazzonia portandoci i Pink Floyd, che probabilmente l’avrebbero distrutta! Un Fitzcarraldo del XX secolo, purtroppo morto in Scozia dopo trent’anni passati nello Xixuaù, una zona nel cuore dell’Amazzonia minacciata dall’avanzata del progresso, dal cambiamento climatico, da Bolsonaro, da tutto. Clark era praticamente diventato un Caboclo, ovvero un meticcio brasiliano, una comunità che vive da quelle parti non essendo né completamente indio, né tantomeno bianca; identificandosi con loro, li aveva fatti diventare i guardiani della foresta; poi aveva cercato di renderli autonomi finanziariamente facendoli lavorare con l’eco-turismo; e aveva avviato una complessa trattativa con il governo per rendere lo Xixuaù una riserva naturale protetta.
Aveva chiamato il proprio progetto, creato in una zona molto isolata dell’Amazzonia, Avamposto del progresso: un modello di società utopica basato sull’equilibrio perfetto tra natura e tecnologia, gestito e preservato dagli abitanti della foresta. Ma come vediamo nel film, che ricostruisce un lungo rapporto fra il regista italiano e il “guerriero” scozzese, il governo boccia l’idea della riserva e un gigantesco incendio minaccia di distruggere l’Avamposto. A quel punto Clark si fa venire un’idea folle. Un concerto dei Pink Floyd! Per sensibilizzare il governo e il mondo. Contatta – o dice di aver contattato – sia David Gilmour, sia Roger Waters – che come noto si parlano da decenni solo attraverso i rispettivi avvocati. Si convince che la reunion dei Pink Floyd nel nome dell’ecologia sia possibile. Va a Londra, smuove mari e monti. Ovviamente sarebbe un concerto senza pubblico, da mandare in streaming, ma le problematiche logistiche per ospitare le persone necessarie non sono comunque poche…
Poi Clark si ammala, deve tornare in quella Edimburgo dalla quale era fuggito anni prima senza voltarsi. Una sorella lo ospita. Deve curarsi, ma muore. Nel 2020. Nel frattempo, però, il governo brasiliano dà l’ok, e la riserva si fa. Morabito si chiede: “Nella mente di un sognatore tutto è possibile e forse ha ragione lui, in un mondo che corre a velocità folle verso l’apocalisse, essere un po’ folli è l’unico modo per opporre resistenza. Ma veramente possiamo salvare la foresta, noi, i figli dello stesso modello capitalista che la sta distruggendo?”.
A ben vedere, i protagonisti pazzeschi di questa storia sono due. Uno è Clark, l’altro è Edoardo Morabito, il regista. Che dopo aver conosciuto Clark è partito a sua volta per l’Amazzonia presentandosi, parole sue, “in stile Rambo”, pronto ad affrontare le insidie più feroci. Clark invece gira per la giungla in infradito ed è convinto che i caimani non attacchino l’uomo, per lui i pericoli dell’Amazzonia sono tutti leggendari. Da questo viaggio, e da questo incontro fra due visionari, è nato un film visivamente forte e pieno di suggestioni che riguardano il futuro del pianeta, perché come tutti dovremmo sapere, se salta l’Amazzonia salta tutto. Quello è il polmone della Terra. Con o senza i Pink Floyd, bisogna tenerlo in vita.
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