The Caine Mutiny Court-Martial ha lo stesso destino di molte ultime opere di artisti appena scomparsi, acquista una strana patina di significato. Che il diretto interessato sappia o meno che la sua opera potrebbe essere l’ultima, è quasi impossibile non leggervi una prefigurazione dell’imminente dipartita dell’autore, un’invettiva contro il tramonto della luce o un ordinato ritorno a temi precedenti.
Il leggendario regista William Friedkin è morto il 7 agosto all’età di 87 anni, poche settimane dopo aver completato il suo ultimo lungometraggio, The Caine Mutiny Court-Martial, che per molti versi rappresenta il suo – coerente – testamento artistico. Come molti altri suoi film, è conciso, incisivo, a volte un po’ urlato, ma realizzato con brio e spavalderia.
Fin dai primi giorni della sua carriera di regista, Friedkin è stato attratto dal materiale teatrale. Il suo secondo lungometraggio è stato un adattamento de Il compleanno di Harold Pinter nel 1968, seguito da una riuscita transizione cinematografica per il successo di Broadway The Boys in the Band (1970) e, più di recente, per due opere teatrali innovative e sorprendenti dello scrittore Tracy Letts, Bug – La paranoia è contagiosa (2006) e Killer Joe (2011).
Dal palcoscenico al grande schermo
Si dice che Friedkin volesse da tempo girare una versione di Corte marziale per l’ammutinamento del Caine, che lo scrittore Herman Wouk aveva adattato per il palcoscenico dal suo stesso romanzo, L’ammutinamento del Caine, nei primi anni Cinquanta. L’adattamento più noto del materiale è probabilmente il film del 1954 diretto da Edward Dmytryk, membro della lista nera degli Hollywood Ten – autori e registi accusati di essere filocomunisti – e interpretato da Humphrey Bogart, che si ispira alla trama più estesa del libro originale.
Questo adattamento – la cui sceneggiatura è stata accreditata a Friedkin – sposta l’azione nel 2022, invece che nella Seconda guerra mondiale dell’originale, e aggiorna la parte di dramma giudiziario che Wouk aveva ritagliato anche per il palcoscenico. Protagonista è l’ufficiale di marina Maryk (Jake Lacy), accusato in corte marziale per la decisione di subentrare al suo ufficiale superiore, il comandante Queeg (Kiefer Sutherland), vista dall’accusa come un atto di ammutinamento.
La morale ambigua di The Caine Mutiny Court-Martial
Nell’ottica dell’umanesimo liberale, il caso si risolve a favore di uno dei due gruppi opposti di personaggi, ma nel finale la resa dei conti morale non può essere facilmente ridotta a un verdetto binario, bianco o nero, colpevole o non colpevole, resta un’ambivalenza espressa nel discorso finale dell’avvocato difensore Greenwald (Jason Clarke). Non è difficile ipotizzare che forse Friedkin – un personaggio categorico, che ha inveito contro il bigottismo e il pregiudizio, oltre che contro il pietismo politicamente corretto – sia stato attratto da questo dramma ricco di sfumature proprio per la sua inquietante conclusione, che arriva con la rapidità di un drink gettato in faccia, seguito da un brusco stacco sui titoli di coda, stranamente ma non sgradevolmente accompagnato dalla hit funky di Boz Skaggs del 1976, Lowdown.
Il rimuginio dell’originale degli anni Cinquanta sui fini e sui mezzi, sugli uomini cattivi che possono meritare il perdono e sulle azioni giuste compiute per motivi sbagliati si ritrova ancora in questo adattamento. L’aggiornamento a un’epoca contemporanea è tuttavia meno riuscito. Invece dell’ambientazione dell’originale di Wouk, conservata nel film di Bogart-Dmytryk e nella maggior parte delle versioni teatrali conosciute (compreso il film televisivo di Robert Altman del 1988), Friedkin fa cercare mine al Caine nello Stretto di Hormuz, non nel teatro di guerra del Pacifico, in tempo di pace, il che mette tutto in una luce molto diversa.
Un adattamento moderno, non sempre coerente
La posta in gioco non è più una questione di vita o di morte e non è chiaro quale sia l’obiettivo del cambiamento di epoca, se non quello di rendere più sensato il casting eterogeneo, che potrebbe non sembrare realistico in un’ambientazione del 1945, dati la discriminazione e l’esplicito razzismo nei servizi militari statunitensi dell’epoca. Nel ruolo del Capitano Blakely, giudice capo della corte marziale, Friedkin ha scelto il recentemente scomparso Lance Reddick – a cui il film è dedicato – in una performance intelligente e ricca di gravitas.
La scelta di Monica Raymund nel ruolo del procuratore Comandante Challee cambia la dinamica dello scontro verbale tra Challee e Greenwald in modo interessante, soprattutto perché Challee è la più accanita sostenitrice del protocollo, delle regole e della tradizione, una posizione interessante per una donna nell’esercito. Ma il cast si impegna molto, è uniformemente eccellente e affronta con stile i duri scontri in tribunale. Friedkin va sul personale negli interrogatori incrociati, mentre Lacy e Sutherland offrono interpretazioni meravigliosamente dettagliate.
La transizione al 2022 tuttavia non sempre funziona nei dialoghi, soprattutto quando vengono utilizzate espressioni idiomatiche incomprensibili al pubblico di oggi. Nel linguaggio che spesso usa, The Caine Mutiny Court-Martial può indurre a pensare che si tratti sì di una commedia ben interpretata e realizzata, ma un po’ una reliquia che parla solo in modo obliquo al pubblico di oggi.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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