Siamo sulla costa nord-orientale dell’Inghilterra, fra Durham e Newcastle. A Murton, un paesino sul mare che una volta era un centro dell’estrazione del carbone, arriva un piccolo gruppo di immigrati dalla Siria. Uomini, donne, soprattutto ragazzi e bambini. Una di loro – una giovane fotografa – viene subito bullizzata da un idiota locale che indossa una maglia da calcio a strisce bianconere: ma non fatevi fuorviare, è la maglia del Newcastle – li chiamano “the magpies”, le gazze – non della Juventus (e comunque, un pur fuggevole accenno al calcio non manca mai in un film di Ken Loach).
La municipalità trova loro casa, e alcuni volontari li aiutano ad ambientarsi, ma la gran parte del paese li chiama “ragheads” (più o meno l’equivalente del nostro “beduini”) e vorrebbe rispedirli a casa. Il problema non sta nei posti di lavoro che questa gente usurperebbe: lì, di lavoro, non ce n’è più per nessuno dai tempi della Thatcher e del “leggendario” sciopero dei minatori negli anni ’80.
La Gran Bretagna sarà anche uno dei paesi più ricchi del mondo, ma da quelle parti non se ne accorge nessuno: la povertà impazza e gli over-60 sono depressi, vivono di ricordi e passano le giornate al pub. Proprio per questo, devono pur dare la colpa a qualcuno per la “shitty life” che conducono, e chi meglio di qualche profugo che a stento sa dire “good morning” ed è pure musulmano?
È la trama, molto sintetica, di The Old Oak, ultimo titolo del concorso cannense. In quello che potrebbe essere il suo ultimo film (ma l’ha già detto in passato), Ken Loach ci descrive una guerra fra poveri: è la vittoria finale del capitalismo e della globalizzazione, quando gli emarginati non se la prendono con chi è al potere, ma con chi occupa un gradino inferiore della scala alimentare. Per fortuna, c’è anche gente di cuore: come il padrone del pub “The Old Oak” (la vecchia quercia), T.J. Ballantyne (bel nome: una marca di whisky), che collabora con i volontari e si sforza di aiutare l’integrazione. Yara, la giovane fotografa, fa amicizia con lui e lo spinge a ripulire il retro del pub, pieno di vecchie foto degli scioperi ma abbandonato da tempo, per offrire dei pasti caldi sia ai rifugiati sia ai poveri inglesi, che certo non mancano.
“To eat together is to stick together”, mangiare insieme è stare insieme, è lo slogan. E la prima mangiata collettiva è un successo, ma alcuni vecchi avventori del pub – che vogliono solo scolarsi le loro pinte senza stranieri fra i piedi – non sono d’accordo e tramano perché tutto vada a rotoli…
Scorre molto pessimismo, e un grande senso di perdita, in questo film. È come se la vecchia Inghilterra del Labour e del Welfare fosse scomparsa. L’unico appiglio al quale Yara, T.J. e gli altri possono aggrapparsi è l’aiuto della chiesa: e la visita alla splendida cattedrale di Durham – uno dei gioielli del Medioevo inglese – è un momento struggente, perché davanti a tanta bellezza Yara non può che pensare a Palmira e alle altre antichità del suo paese distrutte dall’Isis.
In un film apparentemente piccolo, ma di grande apertura ideale, Loach riesce a mettere in parallelo i disastri del capitalismo e quelli del colonialismo: il cosiddetto Terzo Mondo ribolle di violenza e nel frattempo la civiltà occidentale (anch’essa molto cosiddetta) divora i propri figli. Eppure il finale trova uno spiraglio di speranza, e si chiude su una nota di solidarietà – pur nel dolore – che ci ha fatto piangere come vitelli.
Non è certo la prima volta che Ken Loach ci porta alle lacrime: stiamo diventando vecchi, noi come lui, ma lui non rinuncia a lottare con i suoi film e noi dobbiamo prendere esempio. Magari, ricordandogli sempre la “promessa” che fece nel 2014, in primavera, quando venne proprio a Cannes per presentare Jimmy’s Hall: “Se quest’estate l’Inghilterra vince i Mondiali di calcio, mi ritiro”. Ai Mondiali in Brasile l’Inghilterra fece una figura barbina e in autunno, quando Loach venne a Roma per l’uscita italiana del film, glielo ricordammo: “Allora, Ken, questa storia dei Mondiali?”. Lui rise e disse: “Mi toccherà fare qualche altro film”. Due anni dopo vinse la seconda Palma d’oro a Cannes con Io, Daniel Blake. L’Inghilterra continua a non aver vinto i Mondiali. C’è speranza.
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