Il Leone, per la prima volta nella storia della Mostra, parla greco: a vincere il massimo riconoscimento a Venezia è l’ateniese Yorgos Lanthimos con Poor Things. Ottavo film del regista cinquantenne – già premiato a Venezia nel 2011 per la sceneggiatura di Alps, e premio della giuria nel 2018 con La Favorita – Poor Things, storia dell’emancipazione di una specie di Frankestein retrofuturista, era apparso fin da subito uno dei titoli con le maggiori probabilità di conquistare la giuria presieduta dall’americano Damien Chazelle (tra i giurati anche l’italiano Gabriele Mainetti).
E pazienza se, arrivato al Lido senza il sostegno delle sue star fieramente in sciopero (Emma Stone, Willem Dafoe, Mark Ruffalo), il film di Lanthimos ha finito per consegnare il leone proprio a uno degli studios contro cui gli attori stanno manifestando: la Disney, coinvolta nella pellicola attraverso la sussidiaria Searchlight. Topolino, che porterà in sala il film il prossimo 25 gennaio – prima del probabile passaggio in piattaforma – ringrazia la Mostra e passa all’incasso.
Presentata dalla madrina Caterina Murino, la cerimonia – inaugurata dai premi della sezione VR, Venice Immersive – è proseguita per circa un’ora, assegnando il Leone d’argento della giuria all’ecologismo poetico di Evil Does Not Exist del maestro giapponese Ryusuke Hamaguchi e il premio speciale della giuria a Green Border della polacca Agnieszka Holland, ambientato tra i rifugiati al confine tra Bielorussia e Polonia.
“Fare questo film è stato molto difficile. Alcune cose potete immaginarle, altre no – ha spiegato Holland, unica regista a vincere questa edizione della Mostra – Dal 2014, quando è cominciata la crisi dei rifugiati, migliaia di persone sono morte al confine. Quello che vedete nel mio film succede ancora oggi: la gente si nasconde nei boschi, muore di fame. Perde la vita qui, in Europa. Non perché non possiamo aiutarli, ma perché non vogliamo”.
Un discorso ripreso idealmente, con passione, dal collega Matteo Garrone, che con la favola africana di Io, Capitano ha vinto il Leone d’argento per la regia (lo stesso andato a Luca Guadagnino l’anno scorso). “Questo film racconta il viaggio di due ragazzi attraverso l’Africa, due migranti che cercano di arrivare in Europa: un’esperienza che seguiamo guardandola dal loro punto di vista. Da non africano mi sono aggrappato alle loro storie, mettendo la mia visione al loro servizio, per dare voce a chi non ce l’ha” ha detto, spendendo un pensiero per il Marocco, dove ha girato parte del film, oggi colpito da un violento terremoto.
Sul palco con lui anche il consulente africano del film Mamadou Kouassi, arrivato in Italia dopo una lunga e difficile migrazione nel Mediterraneo: “Dedico il premio a tutte le persone che non sono riuscite ad arrivare a Lampedusa. Servono diritti, noi giovani dobbiamo poter avere un visto per viaggiare, un canale di ingresso regolare”. Al film di Garrone è andato anche un secondo premio, il Mastroianni all’attore protagonista Seydou Sarr. Per il ragazzo un applauso lunghissimo, che gli ha tolto il fiato e le parole per commentare: “Sono molto contento – ha detto, senza nascondere le lacrime, travolto dall’ovazione – non c’è altro da aggiungere”.
Netflix – che qui al Lido riponeva molte speranze nel kolossal Maestro di Bradley Cooper, rimasto a mani vuote – vince comunque un premio importante, quello per la sceneggiatura, per il Pinochet vampiro di El Conde di Pablo Larrain, sceneggiato da Guillermo Calderón. A ritirare il riconoscimento Larrain, con un discorso di pura mediazione: “Il mio collega è in sciopero e non è qui con noi: lo sostengo e spero che gli studios vogliano collaborare, con dignità e rispetto nei confronti degli scrittori ovunque nel mondo” ha detto. Per aggiungere, subito dopo, un ringraziamento (dovuto) allo studio che l’ha prodotto: “Divido il premio con mio fratello, i miei tre figli e Netflix, che lo ha reso possibile”.
Sorpresa per gli attori, entrambi americani (e in sciopero), ma a Venezia in virtù dei “permessi speciali” accordati dal sindacato. A vincere come miglior interprete femminile è stata la 25enne Cailee Spaeny, la Priscilla del film di Sofia Coppola, premio maschile a Peter Sarsgaard, protagonista di Memory di Michel Franco. L’attore ha voluto tornare – in un discorso lungo e appassionato – proprio sulle ragioni della manifestazione. “Quando ero piccolo, la chiesa era il luogo in cui mi sentivo vicino alle persone, spiritualmente. Poi, crescendo, quella sensazione ho cominciato a provarla altrove: nei libri, nella musica, al cinema. Quando le luci si spengono, si celebra il sacramento del silenzio collettivo. Il cinema è un fatto umano, gli attori sono umani, gli scrittori sono umani. Le intelligenze artificiali non potranno mai sostituire il nostro lavoro”.
Nella sezione Orizzonti, presieduta dai registi Jonas Carpignano e Kaouther Ben Hania, e vinta dall’ungherese Explanation for Everything (“In Ungheria i filmaker indipendenti hanno problemi a lavorare – ha detto il regista Gabor Reisz – è un momento molto difficile: grazie all’Italia che distribuirà il nostro film”), il nostro paese si prende più di una soddisfazione, occupando letteralmente la sezione.
Il premio del pubblico va a Felicità, esordio in Orizzonti Extra di una commossa Micaela Ramazzotti: “Questo premio lo dedico a chi sta vivendo un momento difficile della propria vita – ha detto l’attrice – l’infelicità può durare a lungo, ma non bisogna smettere di lottare”. A El Paraiso di Enrico Maria Artale vanno due premi, miglior sceneggiatura e miglior interprete femminile (la colombiana Margarita Rosa De Francisco), mentre Alain Parroni – esordiente assoluto – si aggiudica un premio speciale per il suo Una sterminata domenica, sostenuto e prodotto dal tedesco Wim Wenders.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma