A come acqua alta, quella che sta allagando Venezia: picco di 120 cm alla diga del Lido, meteo definito “anomalo”, si attivano le barriere del Mose (fuori stagione). Un simile livello, a fine agosto, si è registrato solo quattro volte dal 1872 a oggi. I climatologi lanciano inascoltati l’allarme. E l’Unesco avvisa: tra trent’anni la città potrebbe sprofondare. Abbiamo tempo? Nel dubbio, Don’t look up.
B come biglietti. Il sistema di prenotazione online della Mostra di Venezia, croce e sevizia del critico cinematografico, continua a mietere vittime. La piattaforma Vivaticket si impalla, l’attesa per un posto in sala è infinita: i più smart si affidano ai tutorial, per i boomer è “mai più”. La connessione lagga, la rete glitcha, o è un errore nella Matrice o è un déjà-vu: ogni anno si ripete, identico, il tormento.
C come cibo. Al centro di Menus Plaisirs – Les Troigros, documentario fuori concorso di Frederick Wiseman sul celebre ristorante francese (il regista ci capitò per caso: finito di mangiare, chiese il conto e il permesso per girare), il cibo è un’ossessione delle star. A ciascuna il suo: per lo chef della Biennale, Tino Vettorello, il piatto preferito della diva di Ferrari Penelope Cruz sarebbero gli spaghetti all’olio. Ma in versione stellata: “cotti nel prosecco e accompagnati da tartare cruda di gamberi rossi di Mazara e uova di salmone”. Salute.
D come donne. Si fanno progressi, ma ancora non ci siamo. Rare le registe nelle sezioni principali, troppo poche in generale quelle al festival: “Sono il 30% – ha detto il direttore della Mostra, Alberto Barbera – siamo lontani dalla parità di genere”. Per l’Italia ci sono Micaela Ramazzotti (Felicità, Orizzonti Extra), Virginia Eleutieri Serpieri (Amor, fuori concorso) e il Leone alla carriera Liliana Cavani. Ode ad Ava DuVernay con Origin, prima regista afroamericana a competere nel concorso principale.
F come feste. Quella per il lancio del primo numero cartaceo di The Hollywood Reporter Roma, la sera del 3 settembre: una rivista di 120 pagine, “Il lido dei sogni”, per un numero speciale fuori commercio che sarà presentato dalla redazione durante un evento esclusivo al Lido. Nel corso della serata, The Hollywood Reporter consegnerà il premio al produttore internazionale dell’anno ad Andrea Scrosati, COO del gruppo e CEO dell’Europa continentale, e a Christian Vesper, CEO di Global Drama.
G come giuria. Per il concorso Venezia 80, insieme al presidente Damien Chazelle, decideranno l’assegnazione del Leone d’oro e dei premi principali le registe Jane Campion, Mia Hansen-Løve e Laura Poitras, i registi Gabriele Mainetti, Martin McDonagh, Santiago Mitre e gli attori Shu Qi e Saleh Bakri. Per Orizzonti siederanno in giuria le registe Kaouther Ben Hania, la direttrice di festival Tricia Tuttle e i registi Jonas Carpignano, Kahlil Joseph e Jean-Paul Salomé. Donne in giuria, poco meno del 40%. Repetita iuvant: si può fare di più.
H come Hollywood. L’America c’è ma non si vede. Nessun crumiro al Lido, solo star in pausa (certificata) da picchetto. Accordati i permessi speciali per la promozione, concessi dai sindacati in sciopero ai film indipendenti, arriveranno sul tappeto rosso di Venezia Adam Driver per Ferrari, Caleb Landry Jones per Dogman, Mads Mikkelsen per The Promised Land e Jessica Chastain per Memory. Presenti anche Cailee Spaeny e Jacob Elordi, i Priscilla ed Elvis di Priscilla.
I come italiani. Se Hollywood non c’è, l’Italia balla. Tanti gli italiani al Lido, in tutte le sezioni del festival tranne una, Venice Immersive – nel campo dell’innovazione, a quanto pare, il paese non primeggia. Sarà un concorso muscolare per l’Italia, tutto al maschile: Pietro Castellitto (Enea), Stefano Sollima (Adagio), Saverio Costanzo (Finalmente l’alba), Giorgio Diritti (Lubo), Edoardo De Angelis (Comandante), Matteo Garrone (Io, Capitano). Ai margini del campo anche Luca Guadagnino e Paolo Sorrentino, ciascuno produttore di un corto: l’animazione The meatseller di Margherita Giusti e Lost Love di Lorenzo Quagliozzi.
M come musica, tantissima, ovunque. Da Ryuichi Sakamoto Coda, sulla vita del compositore e musicista giapponese recentemente scomparso, al documentario Enzo Jannacci Vengo anch’io, entrambi fuori concorso, passando per il rapper Travis Scott protagonista del misterioso Aggro Dr1ft di Harmony Korine (80 minuti girati in infrarossi: già cult) fino al duo dei Nine Inch Nails Trent Reznor e Atticus Ross per la colonna sonora di The Killer. Vibes sanremesi dall’Italia: Malika Ayane, Tutti Fenomeni, Joe T Vannelli, Isabella Turso, Michele Bravi ed Erica Mou.
P come polemiche. Immancabili quelle su Polanski, 90 anni, e sulla condanna per abusi sessuali (correva l’anno 1977) che lo terrà – ancora una volta – lontano dall’Italia e dalla proiezione di The Palace. Irricevibili quelle che continuano a perseguitare Woody Allen, 87, al Lido con Coup de Chance, nonostante sia stato ampiamente scagionato dalle accuse di molestie. Si parla e ci si indigna sul sesso, ma al cinema – in concorso e fuori – se ne vede poco: lo scandalo non abita più qui.
S come sport. Niente da fare per i palleggi amorosi sui campi da tennis di The Challengers di Luca Guadagnino, ritiratosi dal festival per lo sciopero. Ma la dimensione agonistica dello sport è un tema che torna in almeno tre film della sezione Orizzonti, conTatami, storia di una coppia di judoka iraniane contro il regime, The Featherwight, storia vera del pugile italo-americano Willie Pep, e Day of the fight, viaggio di redenzione di un pugile finito in prigione.
V come vampiri, tanti e in tutte le forme, risorti praticamente in ogni sezione. In concorso con El Conde di Pablo Larrain e la sua incredibile versione di Pinochet non morto, alle Giornate degli Autori con il vampiro sensibile che non riesce a uccidere di Humanist Vampire Seeking Consenting Suicidal Person di Ariane Louis-Seize, alla Settimana della Critica con Vourdalak di Adrien Beau, viaggio di un giovane marchese nella terra dei morti viventi. Sempre alla SIC, la chiusura è tutta per i ragni assassini mutanti di Vermin, di Sébastien Vaniček. Ma questa è un’altra storia.
X come Xu, autore di Chen Xiang, opera VR in concorso a Venezia dalla sinossi psichedelica: “Lo spettatore assume il punto di vista di un dio dell’oltretomba e incontra un bambino sull’orlo della morte”. Battaglie intellettuali, esseri celesti, un ombrello magico, soldati che suonano il liuto e un oscuro pitone. Da una leggenda cinese: Venice Immersive è anche questo.
Z come zanzare, quelle del Lido di Venezia. In sciami pattugliano le strade, le sale, le barche e i vaporetti. Con l’acqua alta, il sole a picco, d’estate e in autunno. Cattivissime. Implacabili. Micidiali. Ci sopravviveranno. Anche fra trent’anni, loro saranno ancora qua. Loro.
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