“Abbiamo bisogno di film che trattano temi più controversi, più delicati, più scomodi”. Vladimir Luxuria non ha dubbi: in Italia, oggi, troppo spesso, a produttori e distributori manca il coraggio di investire in un cinema che racconti a viso aperto il mondo LGBTQ+. Che poi è la vita di tante famiglie, non solo arcobaleno, sono anche la storia comune “di due persone unite civilmente che vogliono fare figli”. The Hollywood Reporter Roma l’ha incontrata a Torino, dove da quattro anni dirige il Lovers film festival, appena concluso. Che, per chi non lo sapesse, è la rassegna cinematografica LGBTQ+ più antica d’Europa.
Si sa: Vladimir Luxuria è una delle artiste più amate dal pubblico televisivo, se non altro perché quello che dice, sia che si tratti del cosiddetto trash sia che si tratti di temi alti, lo dice pesando ogni singola parola. Attivista LGBTQ+ ma anche schierata a difesa di Ignazio La Russa quando il presidente del Senato è finito nella bufera per quella frase sul “dispiacere” che gli provocherebbe un figlio gay, sa passare con nonchalance da un talent all’altro (Tale e Quale Show, Il Cantante Mascherato, Grande Fratello) senza mettere a rischio la credibilità acquisita durante la sua unica legislatura come deputata indipendente di Rifondazione comunista (era Bertinotti), diventando, di fatto, la prima parlamentare transgender di un paese europeo. Attualmente, oltreché direttrice del Lovers festival, è la spalla di Ilary Blasi all’Isola dei Famosi, che ha vinto nel 2008.
E’ arrivato il momento di tirare le somme di questa trentottesima edizione del Lovers festival. Soddisfatta?
Per tre anni io e Torino ci siamo corteggiati a vicenda ma adesso io sono – ci siamo – innamorati. Questa è la prima edizione che dirigo senza paranoie, senza paure: finalmente l’ho vissuta con più leggerezza. Con la mia meravigliosa squadra composta da Angelo Acerbi, da Elsi Perino e da Alessandro Uccelli, abbiamo chiamato tutti i registi e tutti gli attori che potevano venire.
Un programma che non prevedeva solo gente di cinema…
Abbiamo avuto un programma molto ricco, nel quale la pietanza principale era ovviamente il cinema: ma insieme al cinema ci sono stati dibattiti, ospiti televisivi e dello spettacolo in generale. Sono molto contenta: rivedere le sale dei cinema piene è stata una grande soddisfazione. Durante la pandemia la gente si è abbonata alle piattaforme e si è un po’ impigrita. Si è abituata a vedere le serie, anche bellissime, magari dicendosi che con tutte quest’offerta non c’era più bisogno di andare al cinema… quindi vedere di nuovo le sale piene non è solo una soddisfazione per il Lovers, lo è per il mondo del cinema.
È d’accordo con il verdetto della giuria, che ha premiato il film belga Le Paradis?
Sì, adesso mi posso anche sbilanciare. Tutti sono bei film, ricordiamo che sono opere che hanno già passato una rigida selezione. Diciamo che i miei preferiti erano proprio Le Paradis e Arrete avec tes mensonges: un film belga, un film francese. Due pellicole meravigliose.
Due film francofoni. In Italia è ancora un tabù produrre pellicole che trattano film a tematica LGBTQ+?.
C’è poca produzione. Questo è il quarto anno che dirigo questo festival e non ho lungometraggi italiani. Fortuna che almeno tra i tre cortometraggi vincitori quest’anno c’è anche un italiano. Ho tirato un sospiro di sollievo perché, soprattutto quando si tratta di temi scomodi, c’è molta difficoltà a trovare produttori.
La difficoltà sta nel trovare finanziamenti?
Esatto: le idee ci sono, e ci sono anche gli sceneggiatori che hanno copioni pronti. Intendo dire, copioni di film anche audaci. Il cinema che non ti smuove ti fa addormentare, ci facciamo grandi sonni perché in sala siamo pure al buio. Mancano solo le persone che credono in quelle idee.
Con l’attuale governo qualcosa potrà cambiare?
Se proprio devo essere sincera, non si è ottenuto granché neanche con gli altri governi. Ma forse ora c’è una reazione a tutto quello che stiamo attualmente vivendo: la campagna contro le trans, la campagna contro le famiglie arcobaleno, contro il diverso, finirà per produrre nuove idee e nuovi film. Ad oggi non ci sono film italiani – ma se ne sente il bisogno – su una famiglia arcobaleno, sulla storia di come due persone unite civilmente vogliano fare figli. C’è il bisogno di raccontare queste storie con le emozioni del cinema. E vorrei che fossero film veri e proprio, non documentari: quelli ci sono stati.
Pensa che i registi famosi, quelli di prima fascia diciamo, ancora non si siano buttati a raccontare la vita reale del del mondo LGBTQ+?
Intanto devo dire grazie a quei registi, penso a Ferzan Ozpetek, che comunque hanno trattato questi temi con film anche di grande successo, indirizzati a un pubblico molto eterogeneo. Però avremmo bisogno anche di film che trattano temi più controversi, più delicati, più scomodi.
La rappresentazione dei gay nei film che citava è alquanto leggera, non trova?
E’ vero in generale, ed in Italia questo avviene quasi sempre. Ma penso anche che un regista debba essere libero di trattare le proprie tematiche: sinceramente, temo che il coraggio manchi più ai produttori e ai distributori.
Da un punto di vista istituzionale ha avuto problemi a organizzare Lovers?
No, perché io credo di aver acquisito nel tempo una grande capacità di mettere insieme una squadra e di dialogare con le istituzioni. Quando sono arrivata qui ho subito detto non sono venuta né a fare la campagna elettorale né a organizzare un Pride. Il mio compito è quello di organizzare un evento culturale importantissimo per questa città.
Ha interloquito durante questi anni di direzione con diversi schieramenti politici…
Quando sono arrivata il sindaco era Chiara Appendino del Movimento Cinquestelle. Adesso c’è Stefano Lo Russo del Pd. La Regione invece è di centrodestra. A loro chiedo se vogliamo davvero fare una cosa bella per questa città. Una cosa che sia attraente e anche una piccola medaglia per Torino.
Meglio Appendino o Lo Russo?
Devo dire che mi sono trovata bene sia con Appendino che con Lo Russo.
E con il presidente della Regione di Forza Italia?
Anche con Alberto Cirio non ho assolutamente problemi. Guardi, nessuno mi ha mai detto: mi raccomando, usi cautela adesso che c’è tutta la tematica scottante sulle famiglie arcobaleno. Anche il direttore del Museo nazionale del cinema, Domenico De Gaetano, non mi ha mai detto no. Il giorno dell’apertura del Lovers infatti, ho invitato in un talk la presidente delle famiglie arcobaleno e una mamma con la figlia trans di quindici anni: un mondo attualmente molto controverso, quello della transizione nell’adolescenza… Qui mi sento molto libera di poter invitare chi voglio e non mi manca certo il coraggio per affrontare temi scomodi.
Lei è scrittrice, opinionista televisiva, adesso impegnata nell’Isola dei Famosi, ma in passato ha fatto anche del cinema. Meglio la televisione o il cinema?
Meglio qualsiasi opportunità in cui posso esprimermi liberamente. Pensi che proprio qui a Torino, quando il festival non si chiamava ancora Lovers, venni a presentare due film che ho fatto: Mater Natura e Come mi vuoi.
A quale film di questi film è più affezionata?
A Come mi vuoi, perché comunque Carmine Amoroso, il regista, ha segnato un punto di svolta nella mia vita. E perché lavorare con Monica Bellucci, Vincent Cassel, Enrico Lo Verso è stata per me una grande esperienza. Anche Mater Natura è un film meraviglioso, devo dire, al quale sono molto molto legata.
C’è qualche aneddoto della sua vita sul set che vuole raccontarci?
Parlo di film che non ho citato. Girato proprio a Torino: è Tutti giù per terra, con la regia di un grande regista, Davide Ferrario. Dovevo fare la parte della prostituta di cui si innamora un cliente (Carlo Monni). Mentre mi canta una serenata, Valerio Mastandrea, che nel film è il figlio del mio cliente, passeggiando lungo il Po scopre che suo padre sta con una trans. Ricordo che faceva un gran freddo, mentre io mezza svestita mi trovavo sempre a dover sfilare dai tacchi alti le foglie cadute per terra, per cui bisognava ogni volta rifare la scena. Un ricordo bellissimo.
Un momento importante del festival è stato il tributo a Maurizio Costanzo, con la proiezione per gli studenti di Una giornata particolare, di cui ha firmato la sceneggiatura insieme a Scola.
Sono contenta che la sala fosse strapiena e di aver dato la possibilità ai giovani di poter conoscere questo film meraviglioso. Io questo film di Ettore Scola lo amo. Sofia Loren e Marcello Mastroianni, che grande prova di attori! Un grande anche Maurizio Costanzo: mi ha dato tutto, mi ha dato la popolarità. Ha invitato sul palcoscenico anche la mia mamma, con cui allora non avevo buoni rapporti, per parlare della mia identità di genere.
Che strana la vita, se si pensa che in Una giornata particolare recita anche colei che le disse “meglio fascista che frocio”. Una donna con la quale poi si è creato un legame…
È davvero strano pensare che la prima apparizione di Alessandra, che si chiama Mussolini, sia stata, da bambina, in un film molto critico nei confronti del fascismo di Benito Mussolini, suo nonno. Come si sa, ho avuto anche un lungo periodo di scontro con lei. Ma oggi credo veramente al suo cambiamento, e non penso si tratti di opportunismo. Alessandra è cambiata, come è cambiato mio padre nei miei confronti. Io dico sempre una cosa: non si vive di rancore. Mai. Teniamo sempre la porta aperta a chi decide di volerci reincontrare e abbracciare.
Quale è stata la sua giornata particolare?
Il giorno della mia tesi di laurea, perché mi sono laureata con 110 e lode. È stato il giorno in cui ho capito che ho fatto bene a non smettere di andare a scuola nonostante avessi vissuto il bullismo, ed è stato il giorno nel quale ho visto l’orgoglio negli occhi di mio padre e di mia madre.
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