Una storia lunga quarantacinque anni girata in tempo record, una corsa contro il tempo con l’unica copia del film trasportata in valigia dalla Polonia al Lido di Venezia, a due giorni dalla prima ufficiale. Tante incognite, una certezza: il film Woman of…, di Malgorzata Szumowska (Orso d’argento nel 2015 per Ciało, e nel 2018 per Un’altra vita – Mug) e Michal Englert, che mette al centro le persone transessuali e denuncia la mancanza di diritti in Polonia, doveva essere mostrato al mondo passando proprio per la kermesse veneziana. “Oggi apro quella valigia per la prima volta, e sono pronta a far sentire la mia voce”, dice Szumowska.
E’ seduta, accanto a Englert e l’attrice coprotagonista Joanna Kulig, nella lounge del Circolo del Tennis, a poche centinaia di metri dal Palazzo del Cinema. L’emozione è palpabile. “Temiamo forti critiche da parte della politica del nostro paese quando vedranno il film, la Polonia è il quarto paese più omofobo e trasfobico del mondo, il primo in Europa, non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso, non permette la riassegnazone del genere, e non condanna gli insulti rivolti alle persone LGBTQIA+. E tutte queste tematiche vengono utilizzate dalla politica per polarizzare la società”.
Una cittadina di provincia
Woman of, in concorso, che uscirà in Italia distribuito da I Wonder Pictures, racconta, senza mai giudicare o edulcorare, il viaggio di vita di Aniela, nata uomo sotto il nome di Andrzej e vissuta per tutta la sua vita in una cittadina di provincia polacca, e la sua battaglia – personale, familiare, sociale – per ritrovarsi e divenire la vera se stessa.
Il suo viaggio interiore si rispecchia nei cambiamenti avvenuti in Polonia: nel corso del film, che parte dei primi anni ottanta e si conclude nel 2023 si assiste agli sconvolgimenti politici che hanno segnato i paesi dell’Est europeo: gli anni di Solidarność, la caduta del comunismo, l’affrancamento della Russia e l’indipendenza del paese: Woman of in questo senso è la storia di una transizione in un momento di transizione.
E’ un film di denuncia, ma non un film militante. “E’ in primo luogo una storia d’amore tra Aniela e sua moglie Isa, crediamo che le storie profonde e umane siano più difficili da dimenticare”. Il loro è un amore tormentato ma profondamente romantico: amor vincit omnia, una sfida ai pregiudizi in un paese ancora molto indietro. “E’ un problema sistemico, che dovrebbe riguardare tutta l’Europa”, sottolineano i registi, per quanto riguarda il riconoscimento dell’identità di genere e i diritti delle persone LGBTQIA+.
Le difficoltà di finanziamento
Realizzare il film, come anticipato, non è stato facile: “Abbiamo avuto diversi problemi legati ai finanziamenti”, spiega ancora Szumowska. “L’Istituto cinematografico polacco, un ente governativo, non aveva mai avuto difficoltà a finanziare i nostri film perché hanno avuto successo nei festival. Ma stavolta ci sono state grandi esitazioni, siamo stati tenuti sulle spine per tantissimo tempo”. Infine, l’istituto polacco concede i fondi insufficienti però per poter partire col film. “Non trovavamo nessuno disposto ad aiutarci”, proseguono. Infine si è fatto avanti un fondo privato.
“Ma è successo solo all’inizio del 2023: abbiamo girato e montato il film in otto mesi, lo abbiamo letteralmente chiuso i primi di settembre. Ma per noi venire a questo festival era fondamentale, volevamo mostrarlo prima delle elezioni del paese di questo ottobre che potrebbero portare alla vittoria dei nazionalisti conservatori o a una svolta a sinistra”.
Woman Of, l’omaggio a Wajda
Il film arriva in un momento particolare della vita del festival, tra le proteste dei collettivi transfemministi sulla presenza dei registi Polanski, Allen e Besson, difesi a spada tratta dal direttore della Mostra Alberto Barbera. “Mi dispiace per l’attacco personale nei confronti in particolare di Allen, tuttavia sono d’accordo con lo spirito che anima le proteste”, precisa la regista.
“I giovani stanno protestando contro un sistema vecchio che include pesanti figure maschili che sono state violente nei confronti delle donne. Credo che sia necessario ribellarsi a questo sistema. Il sistema si combatte anche facendo film, è quello che cerchiamo di fare. Non è un caso che il titolo del nostro film sia un omaggio al nostro maestro Andrzej Wajda (regista dell’Uomo di ferro, ndr). Siamo stati molto ispirati dal suo gesto, quando, nonostante gli fosse stato negato di poter proiettare il film all’estero scappò a Cannes per portare L’uomo di ferro, vincendo. Oggi i tempi sono diversi, ma sono ancora molto duri. Non ci si può permettere di avere paura”.
Portarsi dentro il dolore
Il film sembra ispirarsi ad una storia vera. “Lo è in parte – prosegue la regista – per girarlo abbiamo raccolto, nel corso di anni, storie di persone transessuali che hanno vissuto portandosi dentro un dolore enorme, il non riconoscersi nel proprio corpo e lo scontrarsi con il rifiuto della società civile. Abbiamo conosciuto coppie come Aniela e Isa, divenute nel tempo coppie dello stesso sesso. Per noi l’elemento più significativo è il tono umanistico all’interno della struggente storia dei nostri due protagonisti. Ed è proprio loro che la nostra telecamera segue attentamente, con il dovuto rispetto”.
Nonostante nel film siano presenti diversi personaggi secondari dall’identità di genere non-binaria, i protagonisti – sia il giovane Andrzej che Aniela – sono invece interpretati da un uomo e una donna cisgender – quest’ultima è l’attrice Małgorzata Hajewska-Krzysztofik, travestita da uomo per una buona parte del film.
“E’ un altro dei problemi che abbiamo dovuto affrontare: in Polonia non esistono attori transessuali – dice Englert – abbiamo fatto tantissime ricerche, infine siamo stati costretti a prendere una decisione che in un certo senso è politicamente scorretta ma che mostra quando il sistema sia marcio e debba cambiare. Speriamo che possa essere mostrato nelle scuole di cinema e spinga i giovani a non avere paura di mostrare la loro autentica identità. Allo stesso tempo però abbiamo lavorato sul set con oltre cento persone transessuali e dall’identità non binaria”.
Un magma di anime e identità
Un magma di anime e identità, che ha fatto sì che tutti si confrontassero profondamente con il tema dell’identità, mettendosi in discussione. “Il film ha cambiato il mio modo di vedere l’amore, che non ha nulla a che vedere col sesso o con l’identità di genere – dice l’attrice Kulig – L’amore è amore. Sono stata davvero educata dalle tante persone trans sul set. Anche io, come il mio personaggio, sono cresciuta in un paese di provincia, molto tradizionalista, con una visione bianco/nero sulla realtà e sulle complessità della società. E’ stato anche molto importante lavorare con Hajewska-Krzysztofik, con la quale sono legata da un lungo sodalizio artistico, perché è una donna che interpreta una donna trans. Dunque è una donna che interpreta una donna. Ecco, tutto questo l’ho compreso nei mesi che abbiamo girato il film. In un certo senso è come se avessi fatto una lunga seduta di terapia ed educazione sentimentale”.
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