Nel 1999, una serie di incidenti tecnici aveva completamente cancellato i file di lavoro di Toy Story 2 ma Galyn Susman, direttore tecnico per la Pixar, lavorava da casa e aveva con se un back-up. Il film era salvo. La crisi che sta passando la Pixar negli ultimi anni non la racconta solo il botteghino: Susman è stata tra i 75 dipendenti che lo scorso giugno sono stati licenziati.
Da quando la pandemia ha dato uno scossone alla Disney, la lampadina della Pixar – che pure aveva rivoluzionato il mondo dell’animazione e in parte del cinema tout court, con titoli come, appunto, Toy Story, Wall E, Up e prim’ancora A Bugs’ Life, Alla ricerca di Nemo – fa più fatica ad illuminare. Elemental è stato il peggior debutto domestico di sempre, 29,6 milioni di dollari (per fare un confronto, l’ultimo Spider-Verse ne ha fatti 120) e recensioni non entusiasmanti. Negli ultimi anni, una crisi di ispirazione creativa forse fisiologica, esperimenti distributivi falliti e una serie di precipitosi cambi di leadership hanno portato frutti cattivi. Anche la sfortuna è autoinflitta: il doppiatore John Ratzenberger, che si era guadagnato la fama di talismano dalla Pixar comparendo in ogni singolo film, non viene chiamato a doppiare dal 2020.
La deriva “perturbante” della Pixar
I più integralisti faranno risalire l’inizio della crisi al 2006. La Pixar fu acquisita dalla Disney, il primo mattoncino del futuro impero di Bob Iger, divenuto CEO della casa madre nel 2005. Negli anni Dieci, anche la Pixar si è convertita al verbo dello sfruttamento intensivo delle proprietà intellettuali.
Comincia in quel periodo quella che Christian Uva ha definito la deriva perturbante della Pixar: una casa di produzione che ha fondato la sua narrativa sul dare vita (ai giocattoli, agli insetti, alle macchine…), ora continua a dare vita (commerciale) a dei franchise che paradossalmente ne escono snaturati, senza carica vitale. Così, perturbante è stato il recente annuncio di Pete Docter sulla lavorazione di Toy Story 5.
La capriola di Buzz Lightyear
La dimostrazione che Buzz non ha più storie da raccontare è stata l’insuccesso commerciale e critico di Lightyear, il film sul “Buzz uomo che ha ispirato il Buzz giocattolo”, un’altra delle capriole comunicative della Pixar. Il prossimo film sarà Elio, il bambino convocato per errore a un consiglio spaziale come ambasciatore della terra. La suggestione italiana – di più, guadagniniana – potrebbe portare fortuna alla Pixar, dopo i discreti risultati di Luca.
Ma ad eccezione del coccoloso Stitch, gli alieni in casa Disney non sono mai venuti in pace. Il pianeta del tesoro, oggi rivalutato, fu un grande flop; la battaglia di Chicken Little contro gli alieni fu “un frenetico e banale pastiche di slogan e cliché”, secondo il New York Times; Milo su Marte – per quei pochi che lo ricordano – fu nel 2011 uno dei più grandi insuccessi della storia della Disney, ma per fare di peggio bastò solo un anno, quando John Carter si aggiunse alla lista dei più grandi disastri finanziari della storia del cinema.
Altri segnali di crisi
Per la Pixar il vero segnale di crisi è stato Onward, la prima nuova proprietà intellettuale dall’addio del fondatore e grande capo John Lasseter, allontanato per molestie. La data di uscita di Onward basta a spiegarne l’insuccesso al botteghino – marzo 2020 – ma anche a distanza di anni, Onward non ha lasciato nessun segno della sua esistenza.
Con la pandemia, il nuovo CEO della Disney Bob Chapek ha deciso che di far uscire i film della Pixar direttamente su Disney+, per non tenere parcheggiati i bellissimi Luca e Soul.
Ma anche Red è stato distribuito su piattaforma, quando invece i cinema stavano ripartendo. Lo scorso autunno Bob Chapek è stato licenziato e Bob Iger reintegrato, e questa leadership schizofrenica – il “Bob Sandwich”, l’ha definito il giornalista Matthew Belloni – non sta aiutando la Pixar. Ma in Luca, Soul e Red è raccolta una speranza: nonostante una distribuzione che li ha svalutati, i tre sono autentici Pixar, gioielli di tecnica e di racconto. Ne arriveranno altri, un giorno.
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