Nell’era dei prequel, sequel, spin-off e requel, anche la Disney non poteva esimersi. L’operazione, però, è peculiare. Il film di riferimento è Wish, sessantaduesima pellicola d’animazione del colosso dei sogni che arriva per festeggiare i cento anni della fondazione della casa di Topolino – dopo anche il cortometraggio Once Upon a Studio distribuito sulla piattaforma Disney+.
L’uscita delle pellicola, in Italia dal 21 dicembre per portare al cinema le famiglie nel periodo di Natale, segue la notizia della conferma della produzione dei sequel di Frozen 3 e 4. E se la storia di Anna e Elsa ha un’impostazione più naturale nella sequenza di eventi produttivi della Disney, come di qualsiasi altra compagnia (facciamo un film, ha successo, facciamone un altro, e poi un altro ancora), per la pellicola di Chris Bucker e Fawn Veerasunthorn il procedimento è stato inverso. O quasi.
Wish è il grande contenitore della memoria disneyniana che celebra il suo compleanno più significativo, che non conta solo la cifra tonda – tondissima – ma anche la speranza che il film successivo sui discendenti (o precursori?) di Biancaneve e Pinocchio possa riportare in sala gli spettatori, più di quanto gli ultimi film dell’azienda abbiano fatto. Sono svariati i flop in cui è incappata la Disney, caduti uno dopo l’altro da Frozen II (ancora lui!) nel 2019 in poi.
Raggiunti i 1,446 miliardi di dollari che lo classificano come l’opera animata dal più grande incasso di sempre, l’era degli eroi e delle principesse, delle fate madrine e degli animali parlanti ha cominciato a sprofondare tragicamente. C’è stato Raya e l’ultimo drago, 2021, finito su Disney+ causa covid. Encanto, 2021, rinato con nuova linfa su Disney+. Strange World – Un mondo misterioso, 2022, stesso destino del precedente. Il sogno di Wish, perciò, punta direttamente alle stelle. Metaforiche quando riguardano gli obiettivi fantasiosi dei protagonisti. Concreti e commerciali se devono tenere conto del budget utilizzato (200 milioni di dollari).
Entrato in produzione nel 2018, ma rimasto nascosto come i segreti più preziosi del reame fino a inizio 2022, l’opera di Bucker e Veerasunthorn – su sceneggiatura di Jennifer Lee (direttrice creativa della Disney e al timone della saga di Frozen (ancora lui!) insieme a Allison Moore – ha come protagonista Asha, abitante di Rosas dove i sogni non sono desideri, bensì sfere di luce.
Le aspirazioni dei cittadini dell’isola vengono racchiuse nell’oggetto geometrico da re Magnifico, unico detentore della magia che, al compimento della maggiore età di ognuno dei suoi sudditi, si prende il compito di sottrarre i sogni alle persone, fin quando non decreterà il momento opportuno per realizzarli.
Wish, tradizione e innovazioni: è abbastanza?
“Amnesia senza nostalgia”, tuona tra canti e ovazioni la corte alle porte del castello. Non Asha, almeno non più. Dopo essere stata in contatto con i desideri della gente, e aver sperato tanto intensamente da far precipitare sulla terra una stella (una di quelle vere, dal nome Star), la ragazza sfiderà Magnifico per restituire a ognuno il suo sogno. O, come li chiama la giovane, la parte migliore di ognuno di noi.
In una lotta in cui Wish butta le fondamenta per l’universo imaginifico che “verrà dopo” e che noi abbiamo già vissuto, il film ci mostra l’inizio di tutto. Di come si comincia a sognare, fuori e dentro la Disney. Di cosa significa voler raggiungere uno scopo, avere un obiettivo, e quanto il riuscire a toccare con mano il desiderio che ci prefissiamo possa sembrare impossibile da tradurre in realtà. Quando, a volte, basta solamente un po’ di polvere di stelle. O di credere nelle fate, come ci insegnava Peter Pan.
In linea con la filosofia del centenario della Disney, unendo alla tradizione – gli sfondi piatti e colorati, simili agli acquerelli – la tecnica tondeggiante del 3D, così Wish non è mai stato tanto classico, quanto innovativo insieme. La storia, ad esempio, è molto (forse troppo) scarna. I personaggi sono carini, sebbene caricaturali. Ma proprio in questa loro semi-assenza di tridimensionalità rappresentano i concetti fondanti del pensiero-Disney, che sì, anche cento anni dopo rimane sempre “i sogni son desideri”.
C’è la musica, tanta, della compositrice Julia Michaels – ai tempi corista di Demi Lovato per Let it go di Frozen (ancora lui!). Una protagonista non caucasica e la sua migliore amica con le stampelle. Le ballad e gli animali che danzano ci catapultano indietro nel tempo, come anche il libro che si apre all’inizio della storia – che, pur arrivando dal passato disneyniano, è impossibile non ricordare anche come irriverente incipit di Shrek del 2000 e successivi, i quali prendevano in giro il mondo della fiaba classica.
Ma c’è anche un’approssimazione nel racconto dovuta all’esigenza di rendere omaggio a un immaginario a cui ovviamente ognuno è legato, ma che a volte influisce sulla compiutezza della narrazione, creando un intreccio a tratti debole, a tratti impacciato. Tra stelle cadenti, regnanti malvagi e il sogno, anche del pubblico, che questo film potesse davvero essere come un desiderio realizzato dopo tanto tempo, Wish lascia più con la voglia di continuare a sperare che con dell’autentica soddisfazione. Confidando ancora che la Disney, prima o poi, riesca a tornare a creare i suoi capolavori di una volta. Uno di quelli che, sperimentazione e progresso a parte, ci piace chiamare “classici”.
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