Dopo aver vinto il premio alla miglior sceneggiatura nel 2018 con Lazzaro Felice, Alice Rohrwacher torna a Cannes con La Chimera. “Quando si presenta a una platea così vasta il lavoro di tanti anni, si vive un momento di sano terrore ma anche di gioia. Sono onorata di essere qui insieme a maestri come Nanni Moretti, Marco Bellocchio, Ken Loach o Aki Kaurismaki, persone che hanno alimentato la mia libertà di sguardo e che continuano a farlo”.
Il naturalismo magico
Nell’intervista con THR Roma Rohrwacher racconta la genesi del suo film, dalla scelta degli attori (“Josh O’Connor, indispensabile il suo sguardo da straniero nella storia”) alle location nel viterbese, raccontando l’origine di quel naturalismo magico che è ormai cifra dei suoi film.
“La Chimera è nato riflettendo sulla natura e sul rapporto che l’uomo ha con la natura. Da piccole io e Alba, che il territorio dell’Etruria lo conosciamo bene, sentivamo parlare spesso dei tombaroli. L’impressione era che quegli uomini non solo si appropriassero di oggetti preziosi, ma sfidassero anche la legge dei morti, dell’invisibile. Mi sono chiesta come mai si sentissero capaci di entrare là dentro, in tombe vecchie di 3000 anni. E la risposta è che non temono il sacro. Allora ho pensato al personaggio dello straniero, un uomo senza radici, di cui non sappiamo nulla, che inseguendo una leggenda cerca le sue radici proprio là: sotto terra”.
La Chimera, un film libero
Con lei, alla presentazione per la stampa poche ore prima della proiezione ufficiale, anche l’attore Josh O’Connor (The Crown), Isabella Rossellini e la sorella Alba Rohrwacher, protagonista di una piccola ma significativa parte nel film.
“Volevo fare un film libero. In questo momento, in cui la narrazione è incatenata dalle piattaforme, il cinema deve liberare la creatività, non cercare i cosiddetti “ganci” per la storia”, ha detto la regista, cui proprio una piattaforma, MUBI, dedica in questi giorni una retrospettiva di lungometraggi e corti. “Il cinema non ha ganci. Quando ho deciso di girare un film ambientato in Etruria, negli anni Ottanta, fra i tombaroli, sapevo benissimo che non sarebbe stato esattamente quel genere di storia che fa impazzire i produttori”.
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