Da A Thousand and One a Synecdoche, New York, da La 25esima ora a West Side Story: come cambiano i film quando cambiano le città.
La palla da demolizione all’inizio di West Side Story di Steven Spielberg è l’allegoria di una città in decadenza, pronta ad essere ricostruita dalle proprie macerie. È da lì che arrivano i Jets, che non a caso spuntano da sotto terra, come ratti dalle fogne, popolando pian piano a ritmo di musica il West Side, Manhattan, il quartiere più malfamato della New York anni Cinquanta. Poveri e immigrati popolano i gangli di quel sottomondo. Un quadrante pronto ad essere buttato giù per venir ricostruito. Lasciare indietro gli esclusi, gli emarginati, per seppellirli sotto mura più alte e facciate di mattoni rossi.
Così, per i marciapiedi del quartiere, nasce una storia d’amore impossibile destinata ad essere distrutta, come quell’iniziale palla aveva preannunciato. La trasformazione della Grande Mela nel film di Spielberg, e prima ancora di Robert Wise (pur con una sequenza d’apertura diversa), passa per lo sfondo vivo e dinamico della metropoli che muta. Un racconto che corre alla velocità dei cambiamenti della città, amplificando il messaggio del racconto e facendo da contraltare al contenuto.
Come cambia lo skyline nel cinema
Osservare lo skyline alle spalle dei personaggi contribuisce spesso ad arricchire una narrazione in cui tutto all’interno di un film è destinato ad aprire un canale di comunicazione diretto con lo spettatore. Non si tratta di rendere iconici dei luoghi o di sfruttarne altri già noti, ma fare della città un bacino che culla la storia e riflette le sensazioni e le emotività dei protagonisti.
Moltiplicandole, come l’esistenza (e la tensione di morte) di Caden Cotard, uomo comune impersonato da Phillip Seymour Hoffman in Synecdoche, New York di Charlie Kaufman. O addirittura sdoppiandole, come la delineazione dei caratteri e degli stili di vita dei personaggi di Storia di un matrimonio, Adam Driver a New York e Scarlett Johansson a Los Angeles. Oppure, a volte, facendo percepire i vuoti, come quelle Torri Gemelle diventate per la prima volta Ground Zero ne La 25esima ora di Spike Lee.
È ciò che fa anche A Thousand and One, sfruttando le modifiche strutturali e sociali newyorkesi dall’inizio degli anni Novanta fino all’addentrarsi negli anni Duemila. Scritto e diretto da A.V. Rockwell, al debutto al lungometraggio dopo svariati corti, il film vincitore del Sundance Film Festival 2023 è il percorso di vita, personale e famigliare, di una giovane madre afroamericana con precedenti penali che rapisce il proprio figlio per non lasciarlo ai servizi sociali, nascondendosi in bella vista nel quartiere di Harlem.
La donna, interpretata dall’attrice, cantante, coreografa e ballerina Teyana Taylor, attraversa un arco di trasformazione che la vede in evoluzione così come la New York in cui vive.
Nel degrado di un sobborgo dimenticato da Dio, la protagonista Inez passa dall’essere uscita di prigione al prendersi finalmente cura del piccolo Terry, cercando disperatamente lavoro, pur mantenendo salda la propria dignità e determinazione. Si impegna a togliersi dalla strada, mette in un sacco dell’immondizia i suoi vestiti e quelli del figlio, trovando un buco d’appartamento da cui poter ripartire, comprando documenti falsi per il bambino e trovando impiego in un’impresa di pulizie.
Le cose, finalmente, stanno prendendo una via differente nell’esistenza di Inez, e così anche nella città che non dorme mai. Dalla radio passano le dichiarazioni del sindaco rieletto Rudy Giuliani, il cui mandato si fonda sull’obiettivo di ripulire le strade, di renderle più sicure, fiorenti. Anche l’esistenza di Inez e Teddy cambia. Finalmente hanno un appartamento tutto loro, la mamma va al lavoro, mentre il bambino gioca ai videogiochi o si annoia sul divano di casa.
Quando poi nella loro quotidianità consolidata entrerà a far parte Lucky, ex di Inez appena uscito dal carcere, il duo diventerà un trio e anche la Grande Mela si espanderà. Il colore di A Thousand and One si modifica, nella cupezza delle strade si apre uno spiraglio luminoso, seppur tenue, che segna il matrimonio tra l’uomo e la donna, la nascita di una famiglia. Anche New York sembra più viva. I tempi, però, sono destinati a cambiare di nuovo, come quegli Stati Uniti che hanno rinnovato più volte la propria pelle.
A Thousand and One: cambia pelle, cambia città
Se i primi anni Novanta del film di A.V. Rockwell sembrano proiettati verso la prosperità, dalla seconda metà fino all’addentrarsi del Duemila i tempi segnano l’aumento della persecuzione da parte della polizia nei confronti della comunità afroamericana, tra arresti arbitrari e omicidi ai danni di inermi e innocenti giovani neri, assassinii colposi per la legge, dolosi per la morale.
I telegiornali e le televisioni sono pieni delle violenze inumane che fanno da sottofondo in A Thousand and One. Le stesse che si sono riversate in molto cinema: sconvolgente, ancora oggi, la descrizione dell’uccisione di Rodney King, spunto per descrivere la brutalità della città (post-digitale) di Los Angeles in Strange Days di Kathryn Bigelow.
Teddy intanto va a scuola, diventa grande. Viene fermato sempre più spesso da quei poliziotti che lo lasciano andare solo perché ancora ragazzino, e quando cresce un altro po’ entra in un programma di studenti meritevoli per seguire un corso avanzato che gli garantirà il futuro a cui Inez e Lucky non avrebbero mai potuto aspirare. Ma la parabola torna ad essere discendente, intaccando stavolta l’edificio in cui i personaggi abitano (proprio come con le case di West Side Story).
Le palazzine popolate da minoranze divengono soggette a ricambi, raggiri, vengono escogitate maniere per essere abbattute, così che i proprietari possano ricostruirle e guadagnare sempre di più. Sfrattare le famiglie – o costringerle ad andarsene – per il proprio tornaconto, senza rispettare le leggi e gli uomini e le donne che vivono in quelle abitazioni.
È la città che, ancora una volta, ha deciso che è il momento di trasformarsi.
Il futuro, da adesso in poi, non può che essere incerto, (quasi) senza più casa, (quasi) senza più un luogo in cui poter stare. Quello dei protagonisti di A Thousand and One lo è sicuramente. Quello di Harlem pure.
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