La Vienna in macerie del primo dopoguerra, il sorriso di Orson Welles che appare nel buio, la celeberrima battuta sul Rinascimento e l’orologio a cucù degli svizzeri: Il Terzo Uomo (The Third Man) di Carol Reed (1949) è uno dei grandi capolavori del cinema del Novecento, l’apparizione di Welles a due terzi del film nei panni di Harry Lime ed dialogo con Joseph Cotten sulla ruota panoramica del Prater alcuni degli scorci più iconici nell’intera storia della settima arte. “Il miglior ruolo che mi abbiano mai dato”, ebbe a dire l’autore di Citizen Kane e dell’Infernale Quinlan in un’intervista del 1960.
Come Casablanca e Il grande dittatore, Il Terzo Uomo (scritto da Graham Greene), diretto dal britannico Reed ed interpretato – oltreché da Welles e da Joseph Cotten anche da Alida Valli e Trevor Howard – appartiene alla schiera dei film-simbolo del “secolo breve” venuti dagli anni quaranta: tanto da meritarsi un museo dedicato a Vienna e tour turistici a tema, con tanto di visite guidate nelle fognature della capitale austriaca (dove si svolge una delle scene memorabili, quella dell’inseguimento di Lime). Qui è Antonio Monda a spiegare per THR la magia di due dei momenti più cruciali del film.
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