Ci sono film che accumulano i cliché. Ci sono film che smontano i cliché. E ci sono film che con i cliché giocano facendoli danzare sulla corda tesa della nostra immaginazione. Un passo in più e si rischia il ridicolo. Uno in meno e si scivola nell’inverosimile. Ma se si resta in equilibrio i cliché rivelano verità esilaranti e drammatiche insieme. L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice, il nuovo film di Alain Guiraudie, uno degli autori più eccentrici e inclassificabili di Francia, appartiene all’ultimo gruppo. Tanto da avere per protagonista un attore strepitoso che si chiama proprio Jean-François Clichet, faccia facciosa tra Checco Zalone e Chevy Chase, ma senza malizia. Anzi con un languore nascosto dietro gli occhi azzurri che ne fa il prototipo del maschio odierno, fragile ma non domo.
È lui che in apertura, fascia sui capelli e tenuta da jogging, abborda una matura prostituta (una regale Noémie Lvovsky) nelle strade ordinate di Clermont-Ferrand, sorta di precipitato della Francia profonda e dei suoi fantasmi. Lui che, dopo aver chiarito le sue intenzioni (“Voglio andare a letto con lei ma non voglio pagare. Trovo la prostituzione immorale. E poi sono innamorato, le farò cose che gli altri clienti non fanno”), la sera la ritrova in un alberghetto per un amplesso focoso subito interrotto. Scena veloce ma meravigliosa: lei non solo accetta di farlo gratis, ma lo paga.
Poi gode così rumorosamente che lui teme stia simulando… ma non c’è tempo per l’amore. In tv rimbalza la notizia di un attentato islamista proprio a Clermont-Ferrand (dove per la cronaca non si è mai registrato nulla di simile). Alla porta bussa il marito della signora, comprensivo ma pur sempre marito, oltre che di aspetto brutale (Renaud Rutten). Médéric e Isadora, si chiamano così, devono separarsi, almeno per il momento.
L’innamorato di Guiraudie
Intanto però siamo saliti sulla giostra di Guiraudie e iniziamo a capire come funziona. Quella città circondata dalle montagne, che ha al centro una statua di Vercingetorige a cavallo, diventa il teatro di una nazione divisa, frammentata in gruppi e comunità incomunicanti ma forse non del tutto. Dunque i personaggi si moltiplicano, e così le paure e i desideri, di ogni sorta, in ogni direzione. Sotto casa di Médéric arriva un giovane arabo incappucciato in fuga, Selim (Iliès Kadri). Sarà l’attentatore? E chi sono gli altri arabi che sembrano dargli la caccia?
Il buon Médéric prima ne è spaventato, poi lo aiuta e perfino lo ospita, senza smettere di cercare Isadora, con cui amoreggia anche nella cattedrale. Mentre la confusione tutt’intorno aumenta. Appare una bellona decisa a sua volta a ottenere i favori di Médéric (Doria Tillier), visto che è anche la sua boss. Ma Médéric ha altro a cui pensare, Isadora non è insensibile al giovane Selim, del resto in questa specie di Feydeau ai tempi dell’islamismo radicale niente e soprattutto nessuno è ciò che sembra. I mariti gelosi possono essere insieme maneschi e comprensivi. I vicini, spaventati ma anche generosi. E se la tv continua a dettare l’agenda, i cittadini si riveleranno più liberi e contraddittori (oltre che divertenti) dei cliché in cui vengono rinchiusi.
Questa almeno la speranza che circola, sottotraccia, in L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice. Una commedia dal ritmo irresistibile, che non ci si sarebbe attesi dal regista del cupo Lo sconosciuto del lago. La giovanissima stagista nera, prima marginale poi sempre più centrale fino al finale sospeso, ci ricorda che il futuro sarà multietnico o non sarà. Mentre il contrasto tra il tono così esplicito di Guiraudie e il ricordo del film forse più celebre mai ambientato a Clermont-Ferrand, il castissimo La mia notte con Maud di Eric Rohmer, ci ricorda quanto ricco, vario e ricettivo può essere il miglior cinema francese.
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