La piccola Rebecca si sveglia di soprassalto. La mamma è in bilico sul cornicione, da un momento all’altro potrebbe cadere giù. È un sogno, un ricordo, una fantasia, una premonizione? Sul viso di quella ragazzina con gli occhi da adulta intravediamo qualcosa che la deturpa, ma è un attimo. “Stop! Buona, andiamo avanti, non vi preoccupate, è un’inquadratura unica, non c’è raccordo”. Marco Tullio Giordana non è regista da battere 20 ciak. Siamo sul set di La vita accanto, il film tratto dal romanzo omonimo di Maria Pia Veladiano che il regista de La meglio gioventù sta girando in queste settimane a Vicenza e dintorni.
Senza inutili perfezionismi, perché a forza di ripetere la scena, teorizza Giordana, “gli attori si svuotano, diventa un fatto meccanico, le prime riprese sono sempre le migliori”. E poi la giornata è lunga. La piccola Rebecca, che a quest’età ha il volto e la bravura inquietanti di Sara Ciocca, deve girare molte altre scene prima di sera.
La vita accanto, la location
Per fortuna tutto, gli ambienti del film, gli uffici della produzione, l’attrezzeria, il guardaroba, è concentrato in Palazzo Franceschini Folco, un magnifico edificio neoclassico traboccante di stucchi e trompe-l’oeil nel centro di Vicenza, già sede del Comune e della Regione, oggi quartier generale della Kavac e della IBC Movie di Simone Gattoni e Beppe Caschetto, che producono La vita accanto con Raicinema e il sostegno della Veneto Film Commission.
Si dice sempre che i film vanno visti in sala, ma non si dice mai che i critici dovrebbero andare anche sul set. Se non spesso, almeno ogni tanto. Per vedere come nascono quei sogni a occhi aperti, come lavorano i registi, gli attori e i loro collaboratori, ovvero come appaiono e si trasformano le idee da cui verrà fuori un mondo magari diverso dal previsto ma vivo, nuovo, inesorabile. Perché i set, e non solo quelli di Fellini, non sono spazi in cui si esegue un lavoro prestabilito. Sono luoghi di apparizione, cerchi magici, campi magnetici che ogni regista abita e solo in parte domina a suo modo. Tanto più quando il film prende forma scavando nelle zone meno illuminate dell’animo umano. E magari passa di mano in mano come è successo a La vita accanto, progetto lungamente accarezzato da Marco Bellocchio, autore della prima sceneggiatura con Gloria Malatesta, poi proposto dallo stesso Bellocchio a Giordana.
Il cast del film di Marco Tullio Giordana
Che ha portato l’inizio della vicenda dagli anni 70 agli anni 80, asciugato gli elementi più vistosamente legati al regista de I pugni in tasca, come la rigida educazione religiosa della protagonista, per concentrarsi su un nucleo essenziale. Il peso del talento (“che può essere riscatto e condanna”), in questo caso talento musicale, che la piccola Rebecca eredita dalla zia, pianista di fama internazionale (Sonia Bergamasco). Ovvero il dono della bellezza, unito a una deformità fisica nel film meno deturpante che nel romanzo, ma abbastanza forte per generare nella madre di Rebecca (Valentina Bellè) una forma di rifiuto ossessivo per quella figlia “mostruosa”, nei due sensi del termine (“monstrum”, ricorda Giordana “può significare sia mostro sia prodigio”). Oltre che visceralmente legata alla zia pianista, sorella gemella del padre (Paolo Pierobon, il Pio IX di Rapito), e alla madre artista della sua migliore amica (Michela Cescon). Con tutti i contorcimenti e le morbosità, le proiezioni e le rimozioni, che si possono intuire.
Ma torniamo sul set. Se i temi e l’aria di questi giorni sono incandescenti, Giordana è tranquillo, addirittura rilassato, palesemente felice. Due parole con lo scenografo Luca Gobbi, e le gelatine alla finestra fanno calare sul palazzo l’effetto notte caro a Truffaut, una notte striata da nuvole autentiche e provvidenziali. Un gesto per vietarci di fotografare il costume di Valentina Bellè, forse ispirato ai dipinti di Füssli (la costumista è Gemma Mascagni), e le riprese ripartono in un clima così sereno che se lo vedessimo in un film non ci crederemmo.
Il direttore della fotografia Roberto Forza, fedele complice di Giordana dai tempi di I cento passi, ci spiega che la Bellè sul cornicione è girata a 30 fotogrammi al secondo, anziché 24, per ottenere lo stesso lievissimo ralenti di Ingrid Bergman avvelenata in Notorious di Hitchcock. Parlando con Valentina Bruscoli, attrice e coach di Sara Ciocca, 15 anni, scopriamo che la ragazza, prodigiosa, non è un’attrice presa dalla strada ma una vera professionista già apparsa in America Latina dei fratelli D’Innocenzo, ne La dea Fortuna di Ozpetek e in due serie di Ammaniti. Mentre l’attrice che interpreta Rebecca da giovane è una vera pianista che si è scoperta anche ottima attrice, Beatrice Barison: “Un’altra conferma che il dio del cinema ci assiste”, sorride Giordana. Che aggiunge serissimo: “Col tempo tendo a diventare un convinto animista”.
Vecchia storia. I registi amano evocare Zen e forze magiche. Noi preferiamo credere alle buone idee, cioè alle idee verificate a fondo e al lavoro ben fatto. Come quello che traspare dal diario segreto di Maria, la madre di Rebecca. Un quaderno istoriato di magnifici disegni eseguiti dallo stesso Bellocchio, come sua abitudine, sulla sceneggiatura originaria del film, che Giordana ha trasformato, aggiungendovi testi e citazioni di suo pugno, nel Diario della madre di Rebecca. Non per farne un oggetto di scena, nel film il Diario quasi non si vede, ma per dare all’interprete, Valentina Bellè, una storia, un passato, una profondità su cui lavorare. Un po’ come faceva Alain Resnais, ma certo non solo lui, che chiedeva sempre ai suoi sceneggiatori le biografie complete di tutti i personaggi, anche di contorno.
Dettaglio decisivo: gli stenogrammi psichici di Bellocchio invece nel film appariranno eccome, ma animati, rivelando sentimenti e pulsioni segrete, un po’ come succede con i disegni satirici d’epoca in Rapito, anche se pare che l’idea originaria di usare l’animazione fosse proprio di Giordana… Ma che importa la primogenitura? Il cinema è un campo di forze, il regista è solo il primo a entrarvi. E quella dell’animismo forse non è un’ipotesi così peregrina. Tornato a Roma, dopo un’infinita serie di altre coincidenze, ricevo una mail da Giordana che mi permetto di citare:
“Ieri abbiamo girato la scena forse più toccante e difficile del film dove le strepitose conturbanti Valentina Bellè e Beatrice Barison hanno regolato i conti fra Madre e Figlia strizzando da sé tutto il non detto, tutto il non mai possibile da dire. Alla fine non erano in lacrime solo loro ma tutto il reparto fotografia che le riprendeva e i tre satrapi dietro il monitor del DIT: Roberto Forza, Elio Gentili e me. L’animismo risiede nel fatto che ieri sarebbe stato il 110mo compleanno di mia madre e credo che dai grandi pascoli del cielo abbia protetto e ispirato le stupende fanciulle e me”.
All’improvviso mi torna in mente la domanda festosa con cui mi sono sentito salutare prima di ripartire, alla fine della giornata sul set. “Non è stato il giorno più felice della tua vita?”. Il tono era affettuoso, non ironico, semmai complice. Sì, per me era stata una giornata meravigliosa. Ma con ogni probabilità Marco Tullio Giordana parlava anche di sé.
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