Astolfo va sulla Luna per ritrovare il senno. Una pila di lacrime abbandonate, di tempo perduto al gioco, di desideri che non sono stati realizzati e denaro dato in beneficenza. Oggetti sparsi sulla superficie diafana del satellite naturale, in mezzo a cui il personaggio de l’Orlando Furioso cerca il bene che ha perso. “Se potessi scegliere, Ludovico Ariosto sarebbe il mio sceneggiatore”. Invece Paola Randi il suo prossimo film, Facciamo tutti centro, se lo è scritto da sola (su un soggetto nato insieme a Valia Santella e prodotto da Fandango con Rai Cinema).
La Luna dei suoi protagonisti – Gollum, Frank e Nina – è un’autofficina ai lati della Bufalotta. Un cimitero di aerei sfasciati, di carri armati militari che non fanno più la guerra, di mezzi di trasporto pesanti depositati come sfondo per la lezione di Frank agli altri personaggi. Nessuna scenografia, solo location più cinematografiche di quanto si possa immaginare, a cui non serve nemmeno mettere mano.
Fucsia, arancioni, grigi metallo. I pezzi della carrozzeria romana avvolgono i personaggi, pronti ad ascoltare la lezione del ragazzo su Ariosto e le sue pagine stralunate. “Frank racconta alla Nina l’Orlando Furioso. Gli insegna che la cosa straordinaria dell’opera è che tutti i più grandi campioni disertano per amore, che siano guidati da Agramante, re d’Africa, o dall’imperatore Carlo Magno”.
È anche di amore che parla Facciamo tutti centro. Storia alla Jules e Jim con un giovane muto (narratore della storia che lo spettatore ascolta con la sua voice over), un ragazzo che porta il colore ogni volta che arriva (da qui l’alternanza con il bianco e nero) e una sedicenne rom già moglie e madre, desiderosa di una vita migliore che cerca di raggiungere iniziando a studiare contro la volontà del marito.
Gollum, Frank e Nina: il trio di protagonisti
È così che si incontra il trio. Gollum, il debuttante Gabriele Monti (“Un provino sorprendente”, afferma Randi), trova dei clienti a Frank per fare un po’ di soldi. Nina è la studentessa perfetta, desiderosa di imparare e allontanarsi dalla quotidianità che fino adesso ha conosciuto.
“Continua Frank – e continua Paola Randi – che Carlo Magno era disperato. Non aveva più eroi che volevano scendere in battaglia. Allora che fa? Chiama il suo capo. Che uno dice, anche Carlo Magno aveva un capo? Sì, lo aveva anche Carlo Magno. Era Dio. Allora chiede a Dio: Dio, guarda, se vuoi muoio io per te, sarei più che contento, anche perché sennò che figuraccia ci fai con queste guerre? Allora Dio, un po’ come Mr. Wolf, manda l’Arcangelo Michele e scopre che dalla parte avversaria c’è un enorme punto debole: il super campione Rodomonte è innamorato. Sotto un certo punto di vista trovo che il luogo in cui ci troviamo venga racchiuso dal testo di questo capitolo del romanzo epico, in cui al sangue si contrappone la bellezza”.
La poesia capitolina che Paola Randi ritrova nello sfasciacarrozze è la stessa che l’autrice reitera nella città principale in cui Facciamo tutti centro è ambientato, la Milano inquadrata come magica, “miracolosa”, da Vittorio De Sica. Posto del cuore della regista, che nella città della Madonnina è nata, e che riversa nell’adolescenza dei suoi protagonisti un po’ di quella che fu la sua.
“Volevo rappresentarla come un luogo romantico”, confessa Randi. “Gollum incontra la Nina perché è la sua vicina di casa, in questo posto bellissimo che sono i palazzi Gescal a Sesto San Giovanni. È un bacino di avventure, di scoperta. C’è un’architettura in cui vanno a fare lezione i tre che chiamano la Cattedrale, una struttura frutto dell’archeologia industriale, uno dei luoghi dell’ex acciaierie Falk che a tutt’oggi emanano un’aura spettacolare”.
Gollum, invece, conosce Frank (“un genietto scappato di casa”) quando il ragazzo che si mantiene vendendo compiti scolastici riconosce la citazione che il ragazzino senza voce sta scrivendo sul muro. È così che i due cominciano un’attività di libri e clienti, mentre Nina cerca una via di fuga dai giri malavitosi gestiti dal marito, tra traffici e furti di rame. “Sono ragazzi che stanno cercando di affrancarsi da ciò che conoscono, sperando di trovare una loro collocazione nel mondo. Ma a quell’età una collocazione non la si trova mai”.
Una Milano “oltre il giardino”
Con la spensieratezza dei sedici (Nina), diciassette (Gollum) e diciannove anni (Frank) e l’ansia di scoprire la realtà che si aggira attorno, i personaggi vagano e atterrano nella stazione Sesto San Giovanni, nella stazione Porta Garibaldi, in quella centrale, nella zona del Politecnico, al QT8, San Siro e all’Idroscalo. Luoghi pervasi dalla “memoria emotiva” a cui Paola Randi rimanda.
“Il cinema è una forma d’arte espressiva, nostalgica. Mentre nel teatro accade tutto qui e ora, sul grande schermo cerchi di far rivivere un’emozione per sempre, che può rappresentare anche il sentire di ognuno, un proprio posto dello spirito, un momento della sua storia. L’altro giorno ho citato ai miei attori la longline di un film splendido di uno dei miei registi preferiti, Hal Ashby. Il titolo è Oltre il giardino e la frase cita: life is a state of mind. Che è un po’ la filosofia di Frank, che instillerà a suo modo nei compagni”.
L’incertezza dell’adolescenza e la discriminazione in base al colore della pelle o del proprio genere. Concetti superati nel cinema di Randi, utilizzati solo al fine di descrivere come possa sentirsi l’essere umano quando viene escluso. Non è un caso che il film è ambientato tutto ai margini (“Che poi, io, questa cosa della discriminazione, mica l’ho mai capita”). Gollum viene bullizzato, Nina è spinta verso il riscatto sociale, quello che il matrimonio non le ha dato (come, invece, aveva erroneamente pensato).
“I miei tre protagonisti si alleano”, spiega la regista. “Facciamo tutti centro è una storia d’amore e amicizia come lo sono sempre in quegli anni, quando diventi amico di una persona e siete inseparabili e i confini tra ciò che siete e ciò che potreste essere sono incredibilmente labili. Tutto è amplificato, tutto è sentito”. Come l’affetto per Paola Randi verso i suoi personaggi, che nel percepirsi stropicciati e scomodi nella loro esistenza, smuovono l’atmosfera da favola ogni volta usata dalla cineasta, legata alle “fragilità, ai disastri, le paure a cui sono sottoposti”. Le stesse delle nuove generazioni, in cui ripone tutta la sua fiducia: “Ci salveranno, ne sono sicura”.
Uno sguardo all’attualità che, narrando anche di una sedicenne già madre e imprigionata nel suo ruolo di moglie, riporta Randi al suo impegno attivo per le donne nella società e nel cinema. Un tono agrodolce con cui l’artista analizza anche la situazione del mercato italiano, da sempre in prima linea nell’occuparsi di criticità relative alle donne, in particolare nello spettacolo.
“C’è soltanto tra il 14% e 20% di registe nel cinema in Italia – riporta colei che dell’associazione 100 autori è la coordinatrice del gruppo delle pari opportunità – e il pay gap è ancora al 40%. Veniamo pagate meno e ci danno la metà dei budget. Dicono che non guadagniamo al botteghino. Meno male che c’è Paola Cortellesi che ha fatto un film bellissimo (C’è ancora domani). Anche se Alice Rohrwacher, la cui opera è straordinaria (La chimera), sta avendo problemi di distribuzione”.
Matti, astronatuti e Comandanti (interpretati da Bruno Bozzetto)
È l’esempio che manca, in Italia. Così Paola Randi lancia un appello alle future registe: “Non fatevi dire che non potete fare la regia perché siete donne. Ho avuto la fortuna di avere un padre e una madre che mi hanno sempre detto che potevo essere tutto, dalla regista all’astronauta. E non crediate che i tipi di virilità non possano cambiare. Se mi chiedessero una caratteristica che descrive al meglio mio padre, risponderei subito: la gentilezza. E lo sono anche i miei personaggi. Fantastici e gentili”.
Gabriele Monti, Samuele Teneggi (“Mi ha dato tutta un’altra visione di Frank, quella giusta”) e Ludovica Nasti, la Lila bambina de L’amica geniale, che a Paola Randi l’ha “acchiappata fin da subito”. In mezzo a loro, oltre alla mamma di Frank interpretata da Anna Ferzetti, anche il sogno nel cassetto Bruno Bozzetto: “È un maestro, è leggendario. Ci eravamo conosciuti a un concorso di corti a Bergamo di cui era presidente. Mi ci sono appiccicata tutta la sera, per me è un idolo. Abbiamo fatto amicizia, ci siamo scambiati i numeri e quando bisognava scegliere il ruolo del Comandante sapevo che per me era lui. L’ho chiamato e mi ha detto: sei matta? Ho risposto: beh, certo. È stato meraviglioso vederlo partecipare a questa follia”.
Di tutti i miti letterari, le metropoli in cerca di riscatto e le gioventù laterali, restano solo tre amici, i loro desideri e una città che Randi ha rivestito col suo racconto. “Un narratore muto, una realista rivoluzionaria e un irriducibile sognatore”, che salutiamo in un container dell’autorimessa romana che si finge settentrionale. Orecchie aperte, pronte per ascoltare Ariosto. Pronte per la prossima lezione, anche (e soprattutto) di vita.
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