Un grosso pesce adagiato sul tavolo di una cucina. Un coltello affilato ne lacera la pelle all’altezza della pancia. Le viscere da eliminare. Ed è di viscere, quelle interiori fatte di memoria, rimpianti e non detti, che parla Con la grazia di un Dio, riuscito esordio alla regia di Alessandro Roia presentato alle Notti veneziane delle Giornate degli Autori.
Scritto a quattro mani con Ivano Fachin, Con la grazia di un Dio ha il sapore di un film d’altri tempi. Un noir che ricorda per atmosfere e toni il cinema francese e hollywoodiano senza cercare di replicare visivamente il percorso stancamente battuto dai titoli italiani dal successo (?) assicurato. Al centro della storia Luca con il volto di un Tommaso Ragno sempre più fuoriclasse. Un passato turbolento e un esilio autoimposto dalla sua città, Genova, nella quale torna dopo venticinque anni per partecipare ai funerali del migliore amico della sua giovinezza i cui confini della loro amicizia rimangono ambigui.
Con la grazia di un Dio: memoria e maschere
È lì che, nel dolore, ritrova i vecchi compagni di un tempo (sui quali svetta un ottimo Sergio Romano). Tutti convinti che quella morte per overdose sia l’ultimo atto di una vita vissuta sempre al limite. Ma Luca non ci crede. Inizia così un’indagine che lo porta a scavare nel passato, tra i caruggi genovesi intricati proprio come le viscere di una matassa da districare.
Con la grazia di un Dio è un film sulla memoria, sulle maschere che indossiamo e dietro le quali nascondiamo la nostra vera indole. La stessa che cerchiamo di immergere più affondo possibile ma che riaffiora in superficie perché impossibile da estirpare. Non importa quanto ce ne allontaniamo.
Una storia di fantasmi
Alessandro Roia ha avuto coraggio. Il suo esordio alla regia è raffinato, rarefatto, elegante. La fotografia di Massimiliano Kuveiller regala alla pellicola (altro grande punto a favore rispetto al digitale) una grana spessa, la gravità di una Genova grigia e in tumulto come il suo protagonista. Elemento essenziale del film l’acqua, quella del mare agitato, delle vasche con gli squali, di un bagno a largo, dell’ignoto. Roia ha il controllo sull’immagine influenzata da tagli geometrici e architettonici. Al resto ci pensa il montaggio di Marco Spoletini che gestiste i tempi del racconto infondendogli una suspence a tratti onirica.
Con la grazia di un Dio è una storia di fantasmi. E, come tutte le storie di fantasmi – lo diceva David Foster Wallace –, è una storia d’amore.
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