La giovane studentessa Anna interrompe una riunione di famiglia: “Ma che bel quadretto! Il nonno fascista, la mamma borghese e il tutore dell’ordine”; e porge al nonno fascista una copia di Potere Operaio. Il carabiniere, suo spasimante, le chiede: “Faceva freddo a Milano?”; “No, direi che faceva caldo, caldissimo. Avete visto cosa è successo all’università? Abbiamo opposto i nostri petti alla violenza poliziesca. Altro che le Cinque Giornate… La rispettabilità, l’educazione, la famiglia, la patria, la religione… Ma non capisce che sono tutti comodi paraventi, che non reggono più? C’è un vento nuovo che soffia, il vento della classe proletaria!”. Che ci crediate o meno, quello che abbiamo ricordato qui sopra è il dialogo con cui Edvige Fenech si presenta in Don Franco e Don Ciccio nell’anno della contestazione (Marino Girolami, 1970).
Ha 22 anni, è bella da mozzare il fiato, indossa un gilet di pelle sopra una camicetta gialla e una minigonna, sempre di pelle, molto vistosa. È una militante di Potere Operaio che semina scandalo nel paesino siciliano di Roccapizzone, diviso fra due parroci: il progressista Don Franco (Franchi) e il tradizionalista Don Ciccio (Ingrassia).
Quello di Edvige non è un ruolo sexy, e proprio per questo è sexy da morire. Ovviamente è doppiata: da Lorenza Biella. Essendo di madre lingua francese, Edwige Fenech è quasi sempre stata doppiata, e da super professioniste: ha spesso avuto la voce di Vittoria Febbi, di Rita Savagnone, di Maria Pia Di Meo, di Melina Martello e perfino di Solveig D’Assunta, la donna-orchestra che Fellini voleva per fare tutte le “vocine” femminili dei suoi capolavori.
Edwige Fenech non è mai andata via
Il ritorno di Edwige al cinema (con la sua voce) nel nuovo film di Pupi Avati è ovviamente una bellissima notizia, ma in realtà non era mai andata via: dopo aver sostanzialmente detto addio alla recitazione negli anni ’80 (il suo ultimo film davvero popolare fu Vacanze in America dei Vanzina, nel 1984) ha lavorato intensamente come produttrice, realizzando soprattutto serie tv di ottimo successo. In un paio di esse, La figlia del capitano ed È arrivata la felicità, si è per altro ritagliata dei piccoli ruoli. In La quattordicesima domenica del tempo ordinario interpreta Sandra, colei che era stata “la più bella ragazza di Bologna”.
È un bel guizzo di sceneggiatura la battuta che Gabriele Lavia pronuncia in voce off, quando la rivede dopo molti anni: “Non la riconobbi subito…”. In realtà Edwige si riconosce benissimo, perché la sua è una bellezza di quelle che non sfioriscono. Nel film è molto brava. La si vorrebbe vedere di più: di fatto ha tre-quattro scene, per altro assai importanti, perché gran parte della trama è una serie di flashback in cui i personaggi, oggi anziani, rivivono un passato risalente agli anni ’60 e ’70 nel quale sono interpretati da altri attori (Edvige da giovane, diciamo così, è Camilla Ciraolo: impresa impervia, ma ce la fa).
Ovviamente non aspettatevi scene sexy, perché non sarebbe giusto e perché il tono del film è in realtà malinconico. Ma rivedere Edwige Fenech provocherà ovviamente molti ricordi in una fascia di pubblico ben definita: i maschi italiani over-60. Sì, perché bisognava essere almeno ragazzi negli anni ’70 per essere suoi fan. Il ruolo “politico” che abbiamo qui sopra evocato è uno dei primi con i quali “la Fenech” irrompe nel nostro cinema.
L’esordio nel Sessantotto
L’esordio italiano era stato nel ’68 in Samoa la regina della giungla, un assurdo film avventuroso diretto da Guido Malatesta e prodotto dalla Romana Film di Fortunato Misiano, uno dei produttori leggendari della nostra serie B (Misiano produceva soprattutto cappa & spada e avventurosi in costume, nei suoi film c’erano spesso scene di battaglia in cui si vedevano batterie di cannoni uno solo dei quali, prima o poi, sparava: era l’unico cannone vero, gli altri erano di cartapesta; nell’ambiente quel cannone era stato ribattezzato “il boom economico di Fortunato Misiano”). In Samoa (che, di nuovo, non era ancora un film sexy!) c’erano lei e Femi Benussi, ventenni, e quindi le diottrie dei maschi italiani cominciavano a correre seri rischi.
Non era sexy, almeno non come pensate voi, nemmeno Satiricosissimo, una delle tante parodie del Satyricon di Fellini uscito nel 1969, sempre con Franco e Ciccio: però lì si comincia a fare sul serio, perché a Edwige viene assegnato il ruolo di Poppea con tanto di abluzioni nel proverbiale latte d’asina.
Titoli proverbiali di Edvige Fenech
In quegli stessi anni l’attrice, che è una specie di ONU ambulante (nata in Algeria da padre maltese e madre siciliana, cresciuta in Francia, italiana d’adozione), lavora spesso in Germania. Curiosamente sono tedeschi alcuni film i cui titoli (italiani) sono divenuti proverbiali: Alle dame del castello piace molto fare quello (in originale Komm, liebe Maid und mache), Mia nipote… la vergine (Madame und ihre Nichte), Il trionfo della casta Susanna (Frau Wirtin hat auch eine Nichte) e Desideri, voglie pazze di tre insaziabili ragazze (Alle Kätzchen naschen gern).
Al ritorno in Italia, nei primi anni ’70, interpreta anche thriller o film d’azione, con registi di qualità come Mario Bava ed esperti artigiani quali Alfonso Brescia, Osvaldo Civirani e Sergio Martino. La svolta arriva, andando all’indietro con la memoria, con La bella Antonia prima monica e poi dimonia, che pur dichiarando l’ispirazione a Pietro l’Aretino è di fatto uno dei tanti “decamerotici” che, sull’onda del film di Pasolini, escono a frotte dal 1971 in poi.
E a quel punto arrivano i due film decisivi, i due titoli entrati nella memoria di tutti quanti: Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda (Mariano Laurenti, 1972) e Giovannona Coscialunga disonorata con onore (Sergio Martino, 1973). Attenzione: il primo è un “decamerotico”, il secondo no: Giovannona Coscialunga è una commedia di costume (succinto) in cui si parla di inquinamento, di mazzette, di politici corrotti e nel quale Edvige è una prostituta che deve fingersi donna d’alto bordo (Pretty Woman, ne vogliamo parlare?…), e si esprime in un folle pseudo-ciociaro grazie allo strepitoso doppiaggio di Rita Savagnone. Un film, forse, da rivedere…
Liceali, insegnanti, guerre e gelosie
Un po’ come i peplum negli anni ’50 e i western negli anni ’60, le commedie sexy degli anni ’70 (assieme ai “poliziotteschi”, versante cupo e violento del cinema popolare del decennio) reggono le sorti di un’industria del cinema italiano ancora molto vitale. Edwige Fenech è la star assoluta del genere assieme a Gloria Guida: in due, nel corso del decennio, si fanno più docce di un nuotatore olimpico.
Se Guida è la regina del cinema “didattico” (tutti i film in cui fa la liceale…), Fenech la sfida sul suo terreno interpretando L’insegnante va in collegio e L’insegnante viene a casa, e poi attacca l’onorabilità delle istituzioni: La poliziotta fa carriera, La dottoressa del distretto militare, La pretora, La soldatessa alle grandi manovre, La poliziotta della squadra del buon costume… Ma non crediate che siano tutti filmacci: Cattivi pensieri (1976) è un interessante apologo sulla gelosia diretto da Ugo Tognazzi, Il grande attacco (1978) è un dignitoso film di guerra di Umberto Lenzi, La patata bollente (Steno, 1979, con Renato Pozzetto e Massimo Ranieri) è uno dei pochi film dell’epoca intelligenti e delicati sul tema dell’omosessualità; e in Io e Caterina Edwige regge benissimo il confronto con l’attore-regista, Alberto Sordi.
Questo, alla fin fine, per dire: non stupitevi se, nel film di Pupi Avati, Edwige Fenech è brava. Lo è già stata, più e più volte.
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