C’è un cinema che ha potere di incidere sulla realtà, come Il moro di Daphne Di Cinto ha fatto a Firenze. Nella città dove a lungo è stata dimenticata e cancellata una parte della storia di Alessandro de’ Medici, un cortometraggio è servito a far riscoprire al capoluogo toscano e a tutta Italia il primo duca fiorentino e il primo capo di Stato afrodiscendente dell’Europa moderna. Figlio illegittimo di Papa Clemente VII (nato Giulio de’ Medici) e di una schiava africana, guidò il ducato di Firenze dal 1532 circa fino al 1537, quando fu assassinato.
Dall’inizio di novembre il suo nome è stato aggiunto ai pannelli informativi delle Cappelle medicee – dove è sepolto insieme a Lorenzo, duca d’Urbino – in seguito a una petizione della regista stessa, che da più di tre anni dedica il suo lavoro al recupero di una memoria storica essenziale, sperando adesso di arrivare fino agli Oscar.
Se il titolo può trarre in inganno, Il moro infatti, così come veniva chiamato il duca di Firenze, è una storia originale che nulla ha che vedere con i vari (e grandi) Otello della storia del cinema e del teatro. E che di shakespeariano ha forse più il tema del potere che della gelosia. In circa venti minuti racconta l’investitura nobiliare di Alessandro (Alberto Boubakar Malanchino) da parte di Clemente VII (Paolo Sassanelli). Un potere che all’inizio il duca rifugge, perché ciò che davvero desidera è solo il nome, de’ Medici, e uno sguardo che lo riconosca come suo pari. Ciò che comprende poi Alessandro, nella modernità del racconto di Daphne Di Cinto, è che potrà essere lui stesso dalla posizione che ricopre a offrire quello sguardo a chi gli somiglia.
A ritroso: il viaggio in nord America
Roma, ore 16, dall’altro lato del telefono Daphne Di Cinto risponde da Toronto, dove è mattina ma lei si sta già preparando alla presentazione del suo cortometraggio, Il moro, che avverrà poche ore dopo nell’università della città canadese. “Sono in nord America già da più di un mese”, dice a The Hollywood Reporter Roma. “Ho portato il film a Chicago, alla Columbia University di New York, a Princeton”. Tutti ambienti accademici, come la Newberry Library dell’Illinois, con il suo grande centro di ricerca di studi rinascimentali, di fronte a un pubblico difficile da accontentare, quello dei ricercatori e degli storici dell’arte che Di Cinto immaginava “avrebbero fatto a pezzi” la sua storia e invece ne hanno apprezzato l’autenticità e la forma.
Questo viaggio fa tappa nei luoghi che paradossalmente dall’altro lato del mondo conservano già da tempo la memoria del duca nero italiano, attraverso i maggiori ritratti conosciuti, quelli del Pontormo nel Philadelphia Museum of Art e nell’Art Institute di Chicago. Si tratta però anche di un tour fondamentale per far arrivare il film alle orecchie, agli occhi e all’attenzione dei membri dell’Academy.
Il moro ha infatti vinto, tra vari premi, anche il Reel Sisters, un film festival con sede a Brooklyn che lo rende idoneo alle qualifiche per gli Oscar 2024, in questo caso nella categoria miglior cortometraggio live action. I voti per entrare nella shortlist si aprono il 14 dicembre e, seppur di fronte a dei giganti di Hollywood, Di Cinto spera “di arrivare il più vicino possibile” a quella statuetta. “Non potevo immaginare di arrivare a questo punto, o forse sì ma non mi ero davvero permessa di credere che sarebbe successo. E per me ciò che è ancora più rilevante è la possibilità di portare questa storia su una piattaforma così grande, perché significherebbe riconoscere l’esistenza a livello mondiale della comunità afroitaliana e non solo, della comunità afroeuropea all’interno della storia europea”.
Una storia dimenticata, una storia non scritta
Tutto nasce da un articolo di giornale, su alcuni personaggi storici afrodiscendenti di cui si era persa traccia nel sapere comune. “Fra questi”, afferma Di Cinto, “c’era anche Alessandro de’ Medici e io ero convintissima che si fossero sbagliati, perché l’avrei saputo, perché mi sembrava impossibile che una cosa del genere mi fosse sfuggita. Quando ho scoperto che era vero sono entrata in una ‘spirale’, ho iniziato a fare tantissime ricerche su testi accademici, che sono gli unici che riportano notizie di Alessandro”. Il materiale raccolto, anche sui personaggi che gravitavano intorno al duca, era perfetto per diventare un serie e infatti Di Cinto ha iniziato il progetto scrivendo un pilot, un episodio pilota, nel 2020 durante il primo lockdown.
“Poi è arrivato giugno 2020, che ha significato tanto su tantissimi livelli” e non ha bisogno di specificare che ciò a cui si riferisce è l’esplosione globale del movimento Black Lives Matter in seguito all’uccisione di George Floyd (25 maggio 2020). “È stato un po’ come scoperchiare il vaso di Pandora in cui avevo soffocato tutti i momenti di microaggressione, di razzismo interiorizzato o di razzismo subito e da quel momento è stato come se avessi potuto fare cinque passi indietro e guardare oggettivamente, capendo come tutto aveva influenzato la mia vita e quella di tantissime persone intorno a me. Ho sentito l’urgenza di non voler stare più zitta. Come parlarne però? È stato lì che ho deciso di non aspettare che una produzione comprasse la serie. Ho deciso di raccontare la storia da sola, e il cortometraggio era finanziariamente l’unica cosa fattibile”.
Con circa 35 mila euro di budget Daphne Di Cinto e la sua troupe sono riusciti a ricreare un affascinante Cinquecento fiorentino, tra costumi raffinatissimi e ricchi e storici interni. Punto focale di ogni inquadratura è naturalmente Alessandro, a cui dà volto e corpo Alberto Boubakar Malanchino. “Lo scopo principale del film”, prosegue la regista, che è anche sceneggiatrice e produttrice, “è mettere a fuoco la figura di Alessandro, portarla dentro la sfera visiva delle persone” e far sì che interroghi la loro curiosità, “perché non tutto quello che ci è stato insegnato era necessariamente tutto ciò che c’era da imparare”.
La storia, quella dei libri di scuola, in altre parole è “frutto di una visione di parte del mondo, quella che ci viene insegnata in questo emisfero, in occidente, quella raccontata dall’uomo bianco di mezza età che lascia fuori molto di ciò che non rappresenta il suo punto di vista”. Ciò che quindi può fare un film diretto, invece, da una giovane donna italiana afrodiscendente è lavorare sulla forza delle immagini per cambiare questa visione.
“Le immagini fanno parte della formazione della nostra cultura e il fatto che un’immagine ci sia o non ci sia può determinare l’accettazione dell’esistenza o della non esistenza di qualcosa”, continua la regista. E aggiunge: “Questa volontà di cancellazione o comunque di non memoria di Alessandro de’ Medici, oggi nel 2023, purtroppo si riflette in una volontà di non accettare la parte della nazione che ha origine afrodiscendente, che è una cosa che poi vediamo giornalmente al telegiornale. Se invece altre immagini esistono ed entrano nell’immaginario comune, quando altre generazioni cresceranno vedendo sui libri le fattezze di Alessandro de’ Medici, si arriverà al punto in cui non si darà per scontato che una persona afrodiscendente in Italia sia per forza straniera. Gli italiani non esistono di un solo colore”.
Bridgerton e Il moro, due facce della stessa medaglia
L’Italia, e non solo, è un paese multiculturale da secoli a tutti i livelli della società, anche ai vertici. È questo che Il moro afferma raccontando come Alessandro de’ Medici ottenne il potere e la prima carica di duca di Firenze. Se si pensa a un duca nero nel contesto della cultura pop, della televisione e del cinema, tuttavia, il primo che viene in mente è ormai il duca di Hastings della serie-fenomeno Bridgerton, targata Netflix.
Per una curiosa coincidenza, Daphne Di Cinto recita nella prima stagione della serie britannica, proprio nei panni della madre del duca, in una breve scena girata quando ancora non si poteva prevedere l’esponenziale successo della produzione Netflix e quando, in realtà, la regista aveva già iniziato il lavoro di ricerca su Alessandro de’ Medici.
È un caso fortuito, dunque, che lei sia legata a entrambe queste figure, ma ciò non significa che Bridgerton abbia influenzato il suo lavoro, se non come esempio “di grande produzione, da cui imparare il mestiere”. Il progetto iniziale cominciato nel 2020, cioè, di una serie dedicata al duca di Firenze prosegue anche dopo la realizzazione del cortometraggio. E sullo stato dei lavori Di Cinto afferma: “Ci sono state varie riscritture e al momento è iniziata la fase della discussione con alcune produzioni internazionali”. Lo sciopero degli attori a Hollywood – sì, Hollywood, perché non sarà una serie solo italiana – aveva messo tutto in stand-by, ma adesso qualcosa è tornato a muoversi.
“L’unico paletto che ho messo è che a interpretare Alessandro dovrà essere un attore afroitaliano, che spero sia il mio (Malanchino, ndr). Protagonista tanto quanto Alessandro, inoltre, sarà la madre e la sua vera storia. Fu costretta infatti a sposare un stalliere da cui ebbe altri figli di cui si è persa traccia ma che comunque erano afrodiscendenti nell’Italia del Cinquecento. Sarà una serie come Bridgerton? No, perché quella è un’opera di finzione. Il moro è fiction basata su una storia vera. Il mio obiettivo resta quello di rappresentare chi finora è stato lasciato fuori dall’inquadratura”.
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