Cosa poteva fare Nanni Moretti dopo Tre piani? In quel film largamente incompreso, il regista era arrivato a una visione desolata di un mondo di uomini vuoti, che si incarnava in uno stile essenziale. Il sol dell’avvenire è in apparenza un ritorno al proprio universo più riconoscibile: Moretti torna a essere protagonista, mette in scena le proprie idiosincrasie e addirittura torna alla politica. Eppure Il sol dell’avvenire presuppone il film precedente, il suo disincanto, e lo rimette in scena cercando una via d’uscita.
Un regista (che si chiama Giovanni, cioè il nome anagrafico del regista) prepara un film ambientato nel ’56, durante la rivoluzione ungherese: l’arrivo di un circo di Budapest in una borgata romana, la crisi umana e politica di un redattore dell’Unità (Silvio Orlando) e il suo rapporto con la pasionaria Barbora Bobulova. Ma il film da girare sembra vecchio a tutti, nessuno si ricorda di quell’epoca, e anche la vita famigliare del regista si sfalda.
La stanchezza dell’eroe
Se Michele Apicella, il doppio di tanti film di Moretti, era immerso nel proprio tempo, era un reagente di situazioni collettive, cambiamenti, mode, intuendole spesso in anticipo, da tempo i film di Moretti sono la confessione di un’inadeguatezza e di una estraneità. E nel tornare a mettersi in scena, ripercorrendo esplicitamente situazioni dei film precedenti, il film racconta anzitutto l’impossibilità di essere Michele Apicella, e forse anche “Nanni Moretti”, oggi.
I riferimenti al proprio mondo tornano sotto forma di parodia, a volte quasi crudele, come segno di una difficoltà: “la trapunta di sogni d’oro”, le canzoni cantate in scena, le situazioni di agonismo fisico (il nuoto, i palleggi), le scarpe, perfino il nome del circo (Budavari, come il giocatore di pallanuoto presente in Palombella rossa). Il film insiste sulla fatica psicologica e fisica di mantenere una bussola anzitutto morale, tra giovani registi innamorati della violenza e attori che credono che i comunisti fossero tutti russi.
Il sol dell’avvenire è insomma un film sulla stanchezza dell’eroe, un eroe non dell’azione ma del pensiero e dello sguardo, ma che ha la stessa amarezza degli eroi crepuscolari di ogni tempo. Col fiatone, non si arrabbia più, non è più una presenza che guida il nostro sguardo nel mondo circostante, ma una presenza estranea, che si interroga smarrita.
Ed è essenziale al suo fianco, aggiungiamo, Margherita Buy nel ruolo della moglie, ancora vitale, nevrotica, contraddittoria, utile per situarlo e guardarlo un po’ da fuori (forse non è un caso che le sceneggiatrici siano tre donne).
Antidepressivi contro “la fine di tutto”
Il film giunge a un livello di confessione molto più doloroso e intimo di quanto non avesse mai fatto. Giovanni si confessa dipendente da sonniferi e antidepressivi, e progetta un film che finisca con un suicidio. L’attore commenta: “Io me l’aspettavo che prima o poi avresti fatto un film che finiva col suicidio del protagonista. Sei proprio tu”. E i co-produttori ribadiscono entusiasmi che il film nel film parla della morte della politica e dei sentimenti: “è un film sulla fine di tutto”.
Ma c’è dell’altro. Perché quel che il protagonista del film di Moretti porta con sé non è solo una vicenda individuale, ma il senso stesso della Storia, un rapporto col passato che minaccia di scomparire. Un individualismo sano, sembra dire Moretti, una giusta visione del proprio posto nel mondo, trae la propria forza dalle ragioni degli altri, di quelli che una volta si chiamavano gli oppressi. E il senso del film non è solo la diagnosi di una stanchezza, ma la necessità di creare un legame tra sé e gli altri.
A rendere emozionante il film è proprio il disagio così sincero, il dolore senza rancore che lo anima. E il cinema ha forse questa duplice valenza: da un lato può rimettere in scena il passato, e reinventarlo, e dall’altro il set è l’unica forma di comunità possibile o sognabile per il protagonista. L’unica in cui si può cantare e ballare insieme.
Realtà e fantasia, passato e presente
Come molti film di Moretti, Il sol dell’avvenire sembra concepito anche a partire da un’immagine, e come altre volte proprio a partire dall’immagine finale. Senza volerlo rivelare, possiamo dire si tratta di una confessione pubblica disperatamente gioiosa come era, sessant’anni fa, quella di Otto e mezzo. Il film, che pure rivendica una struttura “chiusa” (“qui siamo all’opposto di Cassavetes”, dice Giovanni) crea però, come in Mia madre, una specie di ambiguità delle immagini, una permeabilità tra realtà, sogno, fantasia, passato, presente. È dalla confessione della propria confusione ed estraneità, sembra dire, che può venire l’energia residua per affermare e mostrare ancora cose giuste.
Dentro Il sol dell’avvenire, questo film così limpido, di una complessità mai esibita, si annidano anche film ulteriori. Uno lo sta scrivendo ed è, significativamente, un adattamento del Nuotatore di John Cheever (già portato sullo schermo nel bellissimo Un uomo a nudo di Frank Perry): un uomo attraversa nuota di piscina in piscina per tornare a casa in un giorno d’estate, e infine scopre che la casa è in rovina perché non è passato un giorno, ma anni e anni.
Quel sogno di Moretti è un film
L’altro, ancor più importante, è un film che Giovanni non gira, ma si limita a sognare. Un film che contiene tutti i film possibili nella sua semplicità: la storia d’amore tra un uomo e una donna lungo i decenni, accompagnata dalle canzoni delle varie epoche. Questo film che non esiste (ma adesso sì, o adesso possiamo sognarlo meglio) regala i momenti più commoventi del Sol dell’avvenire: quando rivede un cinema degli anni ’60 sulle note di Lontano, lontano o la possibilità dei sentimenti e della loro espressione sulle note della Canzone dell’amore perduto (una delle scene d’amore più belle del cinema recente).
Riattivando il passato davanti a un presente sbiadito, il film crea momenti di grande emozione: come se volesse dirci che il sol dell’avvenire è anzitutto il sole del passato, del ricordo, delle vite prima della nostra e accanto alla nostra.
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