Dalle finestre dell’appartamento di Marina Cicogna, Roma è disabitata. Prati verdi e laggiù, in alto, l’osservatorio di Monte Mario. Penso subito ad Antonello Venditti che canta “Villa Borghese è ancora un giardino”, allungando tutte le vocali. Come se, dalla finestra di Marina Cicogna dovessero – le vocali – correre fino all’osservatorio astronomico e da lì alle stelle. Vorrei chiedere a Marina Cicogna se per caso Antonello Venditti non sia stato lì in piedi, dove io sto, a contemplare il paesaggio, almeno una volta. “Gli specchi su stipiti e architrave delle finestre c’erano già o li ha messi lei?”
Marina Cicogna è seduta sul divano, dà le spalle al panorama. Dunque, si volta e constata: “Ho messo tutto io, anche gli specchi.” Mi invita a sedere e aggiunge “Mi piace molto, in età avanzata, vivere in un posto dove posso guardare fuori e non vedere niente di costruito. Questa zona di Roma, in cima a Via Veneto, dove pure stanno aprendo nuovi alberghi e ristoranti bizzarri, è un villaggio, c’è la lavanderia, il calzolaio, tutto, ma dalle finestre non vedo niente altro che alberi, un sollievo, no?”
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È la seconda volta che intervisto Marina Cicogna. La prima, dodici anni fa, eravamo sedute nella hall del Bauer a Venezia. Marina Cicogna era vestita di bianco. Una polo, un jeans, scarpe stringate. Oggi Marina Cicogna è vestita di blu. Una polo, un jeans, scarpe stringate. Marina Cicogna che è stata la prima produttrice in Europa, oltre a essere fotografa, sceneggiatrice è una icona di stile. Infatti, è vestita allo stesso modo. Io no. Spero, in dodici anni, di aver guadagnato in eleganza.
A maggio usciranno due cose su, di e con Marina Cicogna. La prima è un libro per Marsilio (con Sara D’Ascenzo, pp. 272, 19 euro), si intitola Ancora spero. Una storia di vita e di cinema ed è una biografia, la cavalcata in una vicenda umana e professionale straordinaria. La seconda è un documentario, Marina Cicogna. La vita e tutto il resto. Lo hanno scritto Alejandro de La Fuente e Elena Stancanelli, lo hanno prodotto Riccardo Biadene e Carole Solive, la distribuzione è Cinecittà e il regista Andrea Bettinetti. A Marina Cigogna sarà assegnato tra qualche giorno il David di Donatello alla carriera. Ma cominciamo dalla vicenda umana e professionale.
Luchino Visconti era litigioso?
Beh, alcune liti c’erano. Era molto difficile avere un rapporto sereno con Luchino. Non perché fosse antipatico. Ma aveva dei principi inaccettabili. Se un attore lavorava con un altro regista, Luchino lo eliminava dalla sua vita. Era terribile. E poi a me la cosa di Cannes mi ha pesato molto.
Cioè?
Metti, una sera a cena venne invitato in concorso a Cannes. Trintignant, all’epoca, lavorava molto con me. Luchino era presidente di giuria e tagliò fuori Trintignant da qualsiasi premio per il mio film, addirittura gli dette la palma per la miglior interpretazione maschile per un altro film.
Che film?
Z – L’orgia del potere di Costa-Gavras.
Comunque, un pezzo di storia del cinema.
Certo, ma poi Luchino mi disse: “Se vuoi avere un premio, fai un bel film”, mi sono arrabbiata, e per un po’ di tempo non ci siamo parlati, anzi io non gli ho parlato. Si era arrabbiato con Florinda sempre per Metti, una sera a cena, era la partner di Trintignant. Non ammetteva che creature del suo mondo andassero altrove con altri registi. Pensi che non ha più salutato la Magnani perché ha lavorato con Pasolini.
Il suo rapporto con la critica cinematografica?
Amo molto Paolo Mereghetti. A Lui Metti, una sera a cena non è piaciuto, rispettabile. Ognuno può avere le sue opinioni.
Nel libro racconta una mitica festa a Venezia nel 1967.
Intanto, quell’anno, avevo dovuto litigare molto per prendere Belle de Jour, ma avevo insistito, ero convinta vincesse un premio, cosa che poi è successa. Con la Euro, inoltre, avevamo tre film in concorso. Il 1967 è stato l’ultimo anno di mondanità a Venezia. C’era molta molta gente. Avevo voglia di fare una cosa un po’ particolare. Così, avevamo preso quell’enorme spazio che era l’atrio
di Palazzo Vendramin, tra l’altro uno dei miei vecchi palazzi di mio nonno Volpi. Ho fatto venire tutti gli attori, tutti i registi. Aerei privati, lance. Diane von Furstenberg – che di feste, diciamo, ne ha viste parecchie – dice che è la più bella festa alla quale sia stata.
Quale il suo rapporto con le feste? Perché in Scritti e scatti (Electa, 2009) – mio libro culto – è raccontato il suo rapporto col mare, le barche, bagni tutti nudi, la Callas, ma feste poche.
Sicuramente dopo il 1968 certe feste non si sono più potute fare. Ed è un peccato. Perché le feste se vengono naturali, se sono frequentati da persone di un certo modo. Nella vita credo io l’allegria è fatta anche da rapporti umani. A Venezia nel 1967 li ho invitati per tre giorni, per esempio Elizabeth Taylor e Richard Burton così felici non li ho visti mai più.
È vera la storia di Gianni Agnelli?
Quale?
Agnelli che diceva lei fosse l’unico rivale quando c’era da conquistare una donna.
Allora, nasce a Saint Moritz. C’erano un sacco di amici, forse abitavo addirittura in casa Agnelli, non so, non me lo ricordo. Mi ricordo invece che andavo parecchio in giro con una persona a cui tutti gli uomini tenevano molto. Per me è rimasta sempre, forse, la più bella donna che io abbia mai visto. Fiona Thyssen. Visto che Fiona era diventata molto amica mia e andavamo molto in giro, beh, Gianni lì si è un po’ innervosito. Fiona era divorziata da Thyssen e questo accenno di storia, diciamo così, lo aveva un po’ innervosito. Poi gli uomini sono strani sa, hanno dei punti di forza, e anche dei punti di debolezza.
Nella sua autobiografia scrive che non è facile capire la propria sessualità quando si è molto giovani.
Sono convinta che molto dipenda dagli incontri nella vita. Chiaramente ci sono persone che nascono con prerogative particolari. C’erano persona che fin da ragazzine amavano le ragazze e solo quelle. Sa, mi hanno talmente rotto le scatole per come avevo cominciato il rapporto con Florinda. C’è una persona che improvvisamente entra nella tua vita e con cui, dall’amicizia, poco a poco si passa ad altro. Florinda la trovavo bellissima, molto simpatica, stavo con lei con grande naturalezza. Secondo me la metà delle persone non sanno prima dei vent’anni quale sia la propria sessualità, e non è nemmeno necessario saperlo.
Che significa, se significa qualcosa, essere milanesi?
Moltissime cose. Credo. Sono milanese di famiglia. Milanese e Veneziana. Veneziana da parte di mia madre. Sono Milanese nel senso che sono andata a scuola, fino all’inizio del liceo, a Milano. Non ho amato particolarmente Milano. Sono sempre caduta a Roma, non perché io lo abbia deciso. Qualcosa lo ha deciso per me. Sono nata a Roma perché all’epoca si nasceva nella casa dove era nata stata allevata tua madre. Così sono nata a Palazzo Volpi, a via del Quirinale. Abbastanza per caso. Sempre, ogni volta che volevo venire via da Roma, c’era qualcuno che mi offriva un incarico che mi interessava e sono sempre tornata finché l’ultima volta ho deciso che sono una persona del Nord e ho provato a vivere vicino a Modena, dove viveva Benedetta: ma improvvisamente mi sono resa conto che la luce di Roma per me è insostituibile.
Il suo rapporto col cinema?
Ma guardi, il cinema è sempre stata la mia vera passione nel senso che da ragazzina mi sedevo in sala a Venezia e vedevo tre film, e poi mi facevo riaccompagnare a casa, con grande rabbia della persona che era seduta con me su quella sedia per sei ore. Per me il cinema ha rappresentato la creatività, sono sempre terrorizzata di perdere gli occhi: perché per me tutto quello che appartiene agli occhi – che sia la pittura, che sia qualsiasi cosa di arte, del resto anche il libro che ho fatto, soprattutto scritti e scatti – è basato sulla fotografia, che è una forma di cinema. Mia madre mi ha portato molto a vedere i musei. Non ho una grande conoscenza della musica, ma è sempre stato quello che si vede che mi ha portato una certa possibilità. Anche guardare fuori dalle mie
finestre.
Musica?
Non amo l’opera. Non mi dà una particolare emozione. Non mi piacciono le voci.
Libri?
Ho cominciato a leggere quando avevo tre anni. I libri sono una parte indispensabile della nostra vita. Senza libri non c’è neanche il cinema.
Il film che ha prodotto al quale è più legata, se c’è.
È difficile da dire, forse il film che mi ha portato più successo è quello che ha vinto l’Oscar, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Il film che io amo, Metti, una sera a cena, forse perché è stato il primo. Forse perché la fatica per farlo è stata terribile, nessuno ci credeva, forse quando devi lottare per una cosa ci sei più affezionato di quando ti viene facile.
Tuttavia, a ritirare l’Oscar non c’era nessuno.
La cosa più cretina non è stata non andarci, che era già in sé abbastanza cretina, io avevo zero speranze perché dopo quello che era successo al Cannes col premio della giuria, figurati se mi danno l’Oscar. Avrei dovuto almeno indicare qualcuno che nel caso prendesse la statuetta. Invece l’ha presa una signora simpatica, Leslie Caron, che non sapeva nemmeno il film esistesse. Non era
un film appetibile per l’Academy, questo avevo pensato. L’Oscar è arrivato e nessuno lo ha mai visto, è stato portato a casa di Petri. E penso sia lì. Doveva venire da me o da Senatore. È stato un grande.
Quale film avrebbe voluto produrre e non ha prodotto?
Il conformista, prima di tutto. Il portiere di notte di Liliana Cavani. Avrei voluto farlo. Anonimo Veneziano l’ho fatto ma non per la Euro. Non ho avuto molta facilità a fare i film che volevo. Più di tutti però direi Il conformista. Per me è un capolavoro assoluto.
Queste difficoltà avevano a che fare col suo essere donna?
All’epoca non ci pensavo, ma alla fine della fine sì, il desiderio di metterti sotto c’era, sicuramente.
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