Quella sequenza iniziale con il volo della statua di Cristo sui tetti di Roma, il bagno nella Fontana di Trevi diventato a dir poco proverbiale, il sorriso della ragazzina piena di grazia sulla spiaggia nel finale, con le occhiaie di Mastroianni e la sua perdita dell’innocenza, forse dell’anima: pochi film sono entrati vorticosamente nell’immaginario collettivo come La dolce vita.
Il mitico dizionario Morandini ne parlava come del “film cerniera” nella carriera di Federico Fellini, e descriveva il film – la rappresentazione della Roma di quegli anni – come una Babilonia precristiana e “una materia da giornale in rotocalco trasfigurata in epica”, ma, soprattutto, un film “spartiacque del cinema italiano” .
Diretto e co-sceneggiato da Fellini insieme a Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, La dolce vita è uno dei suoi capolavori, e sicuramente è una delle pietre miliari del nostro cinema, anche se divise sin dai primi giorni la critica ed il pubblico.
Nondimeno, ottenne quattro candidature e un Premio agli Oscar, fu vincitore della Palma d’oro al 13. Festival di Cannes. Come spesso capita ai titoli che maggiormente s’imprimono nella storia, la produzione fu molto travagliata a causa dei contrasti tra Fellini e i produttori, Angelo Rizzoli e Giuseppe Amato. Costato 800 milioni di lire, in sei mesi furono girati circa 92.000 metri di pellicola, che nell’edizione definitiva vengono ridotti a 5.000.
Ebbene, dopo quindici giorni di proiezione il film aveva già coperto le spese del produttore. Stando a Imdb, l’incasso negli Stati Uniti fu pari a 19.571.000 dollari dell’epoca, più altri 8.000.000 di dollari derivanti dal noleggio. Fatto sta che alla fine della stagione cinematografica 1959-60 risultò il maggior incasso dell’annata in Italia, con 2.271.000.000 di lire.
Numeri a parte, il sorriso della ragazza bionda piena di grazia del finale rimarrà per sempre. Come lo sguardo melanconico di Marcello.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma