Marco Bellocchio, dialogo con THR Roma – Vol. 2: “Schiodare il Cristo: è questo il percorso di Rapito”

Il regista approda a Cannes con il film sul bambino ebreo sottratto ai genitori per essere cresciuto da Pio IX: dalle traiettorie delle religioni ai "punti ciechi" in cui si annidano le tragedie della vita, passando dal progetto (tramontato) di Steven Spielberg, ecco la seconda parte della video-intervista in esclusiva con The Hollywood Reporter Roma

È il giorno di Marco Bellocchio a Cannes. Il regista porta in concorso Rapito, film che narra la storia di Edgardo Mortara, il bambino ebreo che nel 1858 fu portato via alla sua famiglia a Bologna per essere cresciuto come cattolico a Roma da Papa Pio IX. Scritto insieme a Susanna Nicchiarelli con la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli, e la consulenza storica di Pina Totaro, Rapito è liberamente ispirato a Il Caso Mortara di Daniele Scalise.

Ecco la seconda parte dell’intervista al regista (qui trovate la prima) in cui parla del film, dal “ritorno alla madre” come tema profondo ai “punti ciechi” in cui si annidano le tragedie, fino a Steven Spielberg: anche lui avrebbe voluto realizzare una pellicola sul rapimento Mortara, ma ha dovuto rinunciare. “Perché è una storia che ha bisogno dell’Italia, dell’italiano”.

La figura materna

“C’è una madre che vuole assolutamente difendere l’origine ebraica del figlio e la sua religione, il loro Dio. Poi c’è il Dio cattolico: da questa parte c’era una violentissima coerenza di prenderlo, prelevarlo e di portarlo a Roma per rieducarlo. Il senso, il percorso, il tragitto di questo bambino rieducato, convertito – il primo titolo era La conversione – è quello di qualcuno che tenta, inventandoselo con la fantasia, di schiodare il Cristo proprio per riconciliare le due religioni, per ritornare alla sue origini, per ritornare a sua madre. Ecco, la figura più imponente nei confronti del bimbo è la madre. Perché il papà in fondo sarebbe anche disposto, pur di riavere il bambino, ad accettare un qualche compromesso con la Chiesa cattolica”.

Bellocchio: il set è veramente la vita

Il nostro è un lavoro in cui arrivi al mattino e dici: “Allora, che si deve fare?”. Finora le mie reazioni sono sempre state attive, non di rinuncia, non di arrendersi. Se hai di fronte un attore cane e dici ‘vabbè, no!”, devi cercare di trovare qualcosa per scuoterlo. Io ho sempre questo atteggiamento. E siccome il set è veramente la vita…

La versione di Steven Spielberg

“Credo che sia un film che aveva bisogno dell’italiano, aveva bisogno dell’Italia. Mentre Spielberg voleva fare un film parlato in inglese. Qualcuno mi ha detto che forse ha capito che c’erano delle difficoltà: è anche necessario conoscere l’Italia, la religione. Perché qui sì, ci sono gli ebrei ma anche la religione cattolica. E poi non c’era solo Spielberg. Anche Julian Schnabel, mi hanno detto,  voleva fare questo progetto”.