“Questa un pochino funziona”. Mimmo Calopresti, prima di sedersi a parlare con THR Roma del suo Gianni – L’imperatore dei sogni, docufilm dedicato alla figura del celebre stilista, avvicina una piccola stufetta nell’angolo di uno dei locali della Cavallerizza reale di Torino in cui si svolge l’intervista. “Il Torino Film Festival è stato una grande occasione per me. È un ritorno a casa” confida il regista dopo “il pasticciaccio brutto” della Festa del Cinema. Il film era stato infatti selezionato nella sezione Special Screening per poi essere dichiarato “non idoneo” ventiquattro ore dopo dalla direttrice artistica Paola Malanga e “abbandonato” da Minerva Pictures – coproduttori al 50% insieme a Quality Film – di cui Santo Versace, fratello di Gianni, è presidente dal 2019. “Una censura preventiva”, l’aveva definita al tempo il regista calabrese che oggi ha toni più conciliatori: “Facciamo la pace, credo”.
Il film arriva a Torino dopo la confusione che c’è stata nei giorni della Festa del Cinema di Roma. Come si è evoluta la situazione?
Stiamo ricomponendo tutto. Non c’è mai stato un vero grande motivo di rottura. Non ho mai capito perché. Né perché Santo abbia avuto questa reazione. Adesso mi sembra che stia cambiando. Forse c’è una questione psicologica dietro tutto questo. Dopo 25 anni sembra che Versace sia ancora qui tra di noi. Non hanno trovato le coordinate. Ma finirà che faremo la pace.
Ha parlato con Santo Versace?
Più o meno sì. Stiamo parlando. Ma ripeto: non c’è un motivo vero per quello che è successo. Non lo so, è incredibile questa cosa. Anche perché se poi uno vede il documentario capisce che non c’è niente di sconveniente.
Crede che Gianni Versace sia stato un precursore del racconto del femminile attraverso i suoi abiti?
Assolutamente. È stato un grande scopritore della donna in tutti i sensi: della femminilità ma anche della voglia di primeggiare. Lo racconta bene Carla Bruni che parla di donna alpha. Andavano in scena come delle grandi protagoniste, quasi delle attrici. Gianni fa diventare la donna una star. Infatti mi colpisce, se confrontato con oggi, come siamo rimasti indietro su tutto questo. Ed è molto nello stile Versace quella cosa lì. Quella cioè di inventarsi, in un periodo storico come quello, la donna che domina.
Nel film intreccia i ricordi degli amici d’infanzia con quelli delle persone che l’hanno conosciuto quando era diventato uno stilista di fama mondiale. Quando ha proposto loro di partecipare a questo racconto corale che reazione c’è stata?
Versace è rimasto un mito per tutti. Poi morto in quella maniera lì. È diventato un’icona. Tutti hanno un rapporto con lui come con qualcuno che sta sopra a tutto. Non solo: c’è proprio un affetto che va al di là di qualsiasi cosa. È come parlare di un personaggio mitico che sta fuori dal gioco. C’è una specie di rispetto nei suoi confronti che mi ha impressionato.
Nel film utilizza del materiale d’archivio. Come ha scelto cosa inserire per far sì che ci fosse un filo rosso che legasse narrativamente tutto il lavoro?
Apro il mio film con l’ultima intervista americana fatta da Gianni prima di morire. Un’intervista bellissima in cui, tra le tante cose, cita Nietzsche. Le altre, invece, sono fatte dal regista con cui lavorava sempre e in cui praticamente è lui che dirige. Quello è materiale inedito. E credo ce ne sia ancora molto altro. Secondo me c’è ancora molto da scoprire perché lui era fanatico di tutto. Di teatro, cinema, danza. Penso volesse fare un film alla fine della sua vita.
C’è una certa teatralità anche nel modo in cui disegna.
Credo Gianni avesse molte caratteristiche del regista. Era onnivoro, guardava tutto. Aveva una serie di amici con cui andava a caccia di quadri in giro per l’Europa e il mondo. Cercava i grandi fotografi. Aveva un’idea di ricerca molto importante. Qualche volta oggi quando vedo la moda mi dico che non c’è ricerca. Ci sono cose belle ma non ricercate. Ci vorrebbe quell’estro che lui aveva fin da ragazzino e che aveva coltivato per i fatti suoi. L’unica persona che ha veramente ascoltato è la madre.
Racconta la vita di Gianni Versace intrecciando materiale d’archivio e di finzione. Perché?
Perché era impossibile trovare materiale di repertorio di quando era ragazzo. Ho trovato qualcosa ma non l’ho messo perché si confondeva troppo. Non c’è niente del rapporto tra lui e la madre che invece è fondamentale. È la prima che lo capisce.
Racconta anche un giovane Versace appassionato di cinema.
Gli piacevano Pasolini e Bertolucci. Il cinema in qualche maniera in quel periodo lì era la vera cultura.
Non è più così?
Oggi è tutto confuso perché la televisione ha confuso tutto. Al tempo andare al cinema era una cosa militante. Gianni stesso era un militante del cinema. Arriva tutto frammentato adesso. Un tempo usciva un film e tutti andavano a vederlo. Ora escono 100 film di cui non si sa niente e non si capisce niente. Poi, per fortuna, ci sono dei casi invece in cui esplodono. Non è solo un problema di tempo ma di qualità, di come vedi qualcosa. Non hai più tempo di vedere un film intero, ne vedi un pezzetto sul divano.
Ha visto C’è ancora domani di Paola Cortellesi?
No, però immagino abbia trovato un’idea importante che ha riunito tutti davanti al cinema come il focolare. È una cosa importante. Questa è la potenza del cinema. Ogni tanto ha la sua crisi e poi ritorna a essere completamente dentro la società. E la gente che fino a quel momento sembra solo voler starsene a casa, vuole uscire per vedere quel film. E secondo me succederà sempre. Il cinema è un mondo complesso dove si raccontano tante cose in maniera diversa. Le piattaforme hanno cambiato il modo di guardare al cinema. Le serie in realtà sono dei film messi per lungo. Siamo in una fase di cambiamento, di evoluzione, Non so dove finiremo. Questo è interessante però.
Ci sono registi più giovani che apprezza?
Stavo pensando che ultimamente ho visto tutti film di autori affermati come Matteo Garrone o Nanni Moretti. Ne vedo molti perché a Roma mi occupo della direzione artistica del cinema Aquila e proponiamo molte opere indipendenti. Mi piacciono registi come Jonas Carpignano o Roberto Minervini. Hanno un loro stile. E per emergere devi avere la tua firma, un tuo sguardo.
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