La prima cosa che ti colpiva quando incontravi Giuliano Montaldo di persona erano gli occhi. La seconda le mani. La terza, ma poteva anche essere la prima, la statura imponente come la sua cordialità e la sua incredibile comunicativa. Proprio così: ancor prima che regista Giuliano era stato attore e non se ne dimenticava mai. Non era un vantaggio da poco per chi doveva tenere in pugno una troupe cinematografica, discutere con i produttori, parlare con i giornalisti, tutte categorie spesso meno inclini all’ascolto di quanto si potrebbe pensare.
Prima di passare dietro alla macchina da presa con Tiro al piccione, nel ’61, Montaldo erta apparso infatti in film tutt’altro che trascurabili firmati Lizzani (Achtung! Banditi!, Ai margini della metropoli, Cronache di poveri amanti), Maselli (Gli sbandati, La donna del giorno), o Emmer (Terza liceo, Il momento più bello). Ma le sue doti recitative gli sarebbero state ancora più utili dopo, da regista. Per tutta la vita Montaldo è stato un fantastico direttore d’attori, ergo un grande creatore di personaggi destinati a scolpirsi nella memoria. Basti pensare a titoli come Giordano Bruno o a Sacco e Vanzetti, per citare due film interpretati da Gian Maria Volonté (Sacco era un meraviglioso Riccardo Cucciolla, uno di quegli interpreti che il nostro cinema avrebbe dovuto usare più e meglio).
Non a caso il suo rapporto con gli attori, l’incontro, la scelta, tutto quello che veniva prima delle riprese, così importante anche se non se ne parla mai, e tutto quel che accadeva sul set, erano uno dei suoi argomenti preferiti sui quali aveva in repertorio un’aneddotica impressionante, con veri e propri pezzi di bravura che gli ho sentito ripetere più volte. Su tutti quello di Volontè che irrompe di notte nella camera in cui il regista riposava con sua moglie Vera quasi gridando: “Ma come, domani io vado al rogo e voi dormite?!” Quindi si corica e passa la notte in mezzo a loro. Mai capito fino a dove era vera questa storia, ma come si sa in questi casi bisogna “stampare la leggenda” e questa è troppo bella per non crederci.
Di Volonté ricordava anche la prima volta che se l’era trovato di fronte, da aiuto regista, e quel giovane ancora sconosciuto ma già molto sicuro e non meno testardo aveva contestato le sue indicazioni chiedendogli il perché e il per come di un certo movimento di scena. Questione, raccontava Montaldo, risolta agitando un pugno grosso il doppio di quello dell’attore, anche se poi aveva l’eleganza di ammettere che aveva ragione Gian Maria.
Vale la pena ricordare che la sua ultima regia, L’industriale, aveva per protagonista un nome allora non ancora davvero affermato e destinato a fare molta strada, un certo Pierfrancesco Favino. Ma questa passione mai spenta, anzi questa empatia nei confronti degli interpreti, sarebbe tornata utile quando, ormai in età avanzata, si sarebbe ritrovato di nuovo a recitare per Michele Placido (in Un eroe borghese è Guido Carli), Carlo Verdone (L’abbiamo fatta grossa) e Nanni Moretti (Il caimano, qui però Montaldo fa sé stesso). Anche se il regalo più bello glielo avrebbe fatto Francesco Bruni affidandogli in Tutto quello che vuoi, 2017 il ruolo del grande e anziano poeta afflitto da vuoti di memoria e con un passato di partigiano, proprio come Montaldo (ex-partigiano, non certo smemorato), che si trova assistito da un giovane sprovveduto e ignorantissimo a cui finisce per fare in qualche modo da padre, nonno e maestro. Un congedo magnifico, cucitogli addosso su misura. È anche così che lo ricorderemo.
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