Josif Vissarionic Dzugasvili, detto Stalin, contro Lev Davidovic Bronstejn, detto Trockij. La dialettica di Il sol dell’avvenire – e di gran parte della storia del comunismo in molti paesi – si muove fra questi due nomi. Che poi sono due ritratti. Quello di Stalin viene strappato all’inizio del film da Giovanni, il personaggio di Nanni Moretti, regista che sta preparando un film ambientato in una sezione del PCI nel 1956. Personaggio che poi è lo stesso Moretti, visto che Giovanni è il suo nome all’anagrafe.
No ai dittatori nel mio film
Siamo nel corso della preparazione del film, in un set di Cinecittà che riproduce appunto una sezione del tempo che fu. Alla parete c’è un manifesto che vede Lenin e Stalin uno accanto all’altro: niente errori, nel ’56 era ancora così, il XX Congresso del Pcus si era svolto a febbraio ma il famoso rapporto segreto di Nikita Krusciov sui crimini di Stalin venne gradatamente reso pubblico nel corso dell’anno, e per cambiare l’iconografia dei “luoghi comunisti” in giro per il mondo ci volle del tempo. Sta di fatto che Giovanni/Nanni dice che lui, nel suo film, un dittatore criminale come Stalin non lo vuole: e strappa in due il manifesto, lasciando Lenin al suo posto.
I lunghi giri della damnatio memoriae
Ci viene in mente, chissà perché, una delle scene più graziose della storia del cinema sovietico, in un film che negli anni ’60 fu censurato: La storia di Asja Kljacina, di Andrej Konchalovskij, distribuito solo negli anni della perestrojka. Il film, girato nel ’66, è ambientato in un kolchoz e a un certo punto una bambina osserva con curiosità un tatuaggio sul bicipite di un vecchio contadino. Sono due facce, una baffuta e una barbuta, una accanto all’altra. La bambina le sfiora con un dito e chiede: “Eto Lenin, a eto kto?” (traduzione dal russo: questo è Lenin, ma questo chi è?). È Stalin, ovviamente, ma la bambina russa del 1966 non sa nemmeno chi sia.
La damnatio memoriae, nel mondo dei comunisti, fa giri lunghissimi… per altro non è la prima volta che in un film di Nanni Moretti si “danna” Stalin: all’inizio del Caimano, dentro il “film nel film” intitolato Cataratte, assistiamo a un matrimonio comunista in stile Servire il Popolo: l’officiante è Paolo Virzì, e gli sposi sono Paolo Sorrentino e Margherita Buy. Dietro Virzì – vecchio compagno livornese, ricordiamolo – campeggia un ritratto di Mao Zedong, ma la Buy, dopo aver trafitto Sorrentino con la punta di una bandiera rossa ed essersi data alla fuga, ha il tempo di strappare un manifesto di Stalin dal muro. Nanni Moretti non ama Stalin. Diciamo pure che lo detesta. Come dargli torto?
Moretti e la voglia di riscrivere il passato
Nel prosieguo di Il sol dell’avvenire, il dibattito politico è tutto interno alla sezione del PCI dove militano Ennio e Vera, i due compagni interpretati da Silvio Orlando e Barbora Bobulova. Hanno invitato a Roma dall’Ungheria il Circo Budavari, e la carovana arriva proprio nei giorni in cui l’Urss reprime la rivolta ungherese.
A proposito: ricordi delle “democrazie popolari” percorrono tutto il film. Il circo è ungherese (e tutti i circensi sono dalla parte degli insorti), Barbora Bobulova è nata in Slovacchia (allora si chiamava Cecoslovacchia…) e la giovane figlia di Giovanni, nel corso del film, si fidanza con l’ambasciatore della Polonia a Roma, che potrebbe essere suo nonno ed è interpretato dal funambolico Jerzy Stuhr già visto nel Caimano… Ennio e Vera si dividono, politicamente e forse anche emotivamente: lui lavora all’Unità e aspetta di avere la linea da Botteghe Oscure, lei è istintivamente dalla parte dei suoi ospiti magiari, quindi degli insorti. La linea del PCI in quei giorni terribili, ahimè, la conosciamo.
Quando portano a Giovanni la copia riprodotta dell’Unità di lunedì 5 novembre 1956, necessaria per una scena del “film nel film”, il titolo d’apertura recita: “Le truppe sovietiche intervengono in Ungheria per porre fine all’anarchia e al terrore bianco”. Giovanni lo legge e dice al suo assistente: “Troppo lungo, fallo più breve”. L’assistente ribatte: “Ma è il giornale di allora, il titolo era così”. Ma come vedremo, dentro Il sol dell’avvenire è legittimo riscrivere il passato: “La storia non si fa con i se… e chi l’ha detto?”, dice Giovanni a un certo punto. E da lì il film, e la Storia con la maiuscola, cominciano a danzare come i dervisci di Battiato…
Che c’entra il cognato di Vittorio De Sica?
E lì, non possiamo dirvi come, arriva Trockij. Un ritratto di Trockij. Ma come all’inizio del film un giovane collaboratore chiede a Giovanni “ma veramente in Italia c’erano i comunisti?”, noi potremmo chiedere a Nanni: “Ma veramente oggi si può essere trockisti?”.
Bah, lo è anche Ken Loach, per quello che vale. Ma abbiamo il sospetto di conoscere la risposta. La risposta era dentro Caro diario. Quando lui, in Vespa, si ferma a un semaforo rosso, scende dalla moto e si avvicina alla Mercedes guidata da Giulio Base: “No, sai cosa stavo pensando? Io stavo pensando una cosa molto triste, cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone… io credo nelle persone, ma non credo nella maggioranza delle persone”.
Essere trockisti, da quando Stalin fece ammazzare Trockij dal cognato di Vittorio De Sica (questa vi mancava, eh? Ramon Mercader era il fratello di Maria Mercader, seconda moglie di Vittorio e madre di Christian e Manuel), significa essere una minoranza. E nel finale di Il sol dell’avvenire, Moretti si ritrova con Trockij. Però è insieme a tanta bella gente, e non sembra triste.
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