“Te l’avevo detto”. Una frase che se pronunciata può dare una certa soddisfazione, ma sentirselo dire può essere insopportabile. Te l’avevo detto è anche il titolo del secondo lungometraggio di Ginevra Elkann – scritto insieme a Chiara Barzini e Ilaria Bernardini – dopo l’esordio nel 2019 con Magari, pellicola dalle sfumature autobiografiche scelta per aprire il Locarno Film Festival.
Ambientato in fine settimana di gennaio a Roma, quando un’anomala ondata di caldo si impossessa della città, il film vede i suoi personaggi messi con le spalle al muro, costretti ad affrontare tutto quello che hanno abilmente evitato nelle loro vite senza poter ricorrere alle loro abituali vie d’uscita fatte di sesso, cibo, droga, alcool. Sono costretti ad attraversare e farsi trasformare dal caldo.
Te l’avevo detto, tra angoscia e consapevolezza
Uno dei temi del film è l’angoscia che i personaggi cercano di placare proprio attraverso i loro vizi. E quindi consumando se stessi e il mondo che li circonda in una sorta di circolo continuo. Ma noi, nella nostra quotidianità, siamo in grado di arrestare questo ciclo e le sue conseguenze? “Qualcuno ha una consapevolezza, qualcuno non ce l’ha”, dice Valeria Golino, che nel film interpreta Pupa, ex pornostar ossessionata dalla chirurgia estetica. “Come società per adesso c’è una specie di consapevolezza, che però non porta a vere decisioni”.
“La consapevolezza c’è. C’è un pensiero, una paura, un’ansia. Ma c’è anche un’incapacità di bilanciare veramente un comportamento”, le fa eco Elkann a cui si allaccia Alba Rohrwacher, che nel film veste i panni di una madre alcolizzata che cerca di riallacciare un legame con suo figlio. “Concretamente non c’è un’azione forte e concreta forte viene fatta. Si è consapevoli, ma c’è come una resistenza a mettere in moto una rivoluzione. Perché l’unica possibilità è rivoluzionare il sistema in cui noi abbiamo vissuto e continuiamo a vivere”.
Una nube di riferimenti pittorici
Una delle particolarità del film è la nube giallo/arancione che avvolge i personaggi e Roma, città scelta per fare da sfondo alle loro storie. La stessa che, qualche mese fa, ha davvero fatto la sua comparsa a New York. “In parte questa realtà viene da fotografie che ho visto in Cina. Immagini di Shanghai o Pechino dove c’era questa luce. Un posto molto umido, con molto inquinamento, avvolto dentro questa nebbia che è un po’ arancione”, racconta la regista di Te l’avevo detto.
“E poi sicuramente il lavoro di Ólafur Elíasson, un artista islandese che fa un lavoro sulla luce molto bello. I quadri di William Turner e James Abbott McNeill Whistler, perché questa nebbia non solo racconta il caldo ma è anche molto difficile trovare i propri confini al suo interno. I personaggi sono un po’ annebbiati, non hanno confini molto chiari loro stessi, e quindi si trovano dentro questa luce qua che crea ancora che esaspera ancora di più questa mancanza”.
Valeria Golino e la sua Pupa
Lunghi capelli biondi, labbra e zigomi riempiti di filler e l’ossessione per la propria immagine. È la Pupa di Valeria Golino. Un personaggio assoluto e, a suo modo, libero. “Quando ci sono personaggi che sono almeno superficialmente distanti da te e quando sono anche molto caratterizzati in questo senso, come lo è Pupa, la paura è di fare una macchietta. Anche se non era scritto così. Ma una cosa è scrivere e una cosa è poi metterlo in scena. Volevo onorare questo personaggio. Non lo volevo né prenderla in giro né giudicarla. Volevo volerle bene. E, in effetti, le voglio bene”, confida l’attrice.
“E poi mi sono molto divertita nel periodo in cui ero conciata in quel modo a vedere le reazioni delle persone, che non erano quelle del film, quando andavo da una parte all’altra della strada. La percezione che hanno gli altri di te e come lei ha una sua grazia anche nel suo essere un po’ volgarotta, dire delle cose inopportune in qualsiasi ambito che non sia il suo. La trovo anche graziosa per certi versi. Buffa e simpatica”.
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