Presentato in anteprima al SXSW, il primo lungometraggio di Imran J. Khan racconta la storia di un giovane adolescente cui è vietato, per motivi religiosi, di radersi i baffi.
Il crollo improvviso della Silicon Valley Bank, qualche settimana fa, ha messo in luce un fatto: il fallimento dei finanziatori del settore tecnologico e delle startup si ripercuote su un’intera costellazione di industrie associate. Un disagio che riverbera su tutta la comunità, finendo per colpire anche personaggi come il piccolo imprenditore pakistano-americano e la sua famiglia al centro del film Mustache di Imran J. Khan, ambientato negli anni Novanta.
Anche se il tema di partenza potrebbe non sembrare esattamente divertente, Khan riesce a far emergere l’umorismo proprio dalla difficoltà, quando il suo protagonista, un tredicenne di religione musulmana, è costretto a riadattare la sua vita dopo la decisione presa dai genitori sul suo percorso scolastico. Pur non essendo una tipica commedia adolescenziale, Mustache affronta il genere da una prospettiva fresca e delicatamente umoristica, con una narrazione più gentile del previsto.
L’adolescenza è una questione di baffi
Allievo della terza media di una scuola privata musulmana di San Jose, Ilyas (Atharva Verma) è tormentato da un problema molto più grave rispetto a quelli che assillano i suoi coetanei, alle prese con genitori, amici e feste: i suoi baffi scuri e sottili. Sono spuntati quando aveva dieci anni, e sebbene non abbia ancora raggiunto la pubertà, stanno diventando sempre più problematici, provocandogli un senso di “profondo disgusto di sé”, come dice lui stesso raccontando drammaticamente il suo disagio. La religione islamica gli impedisce di radersi, e i suoi genitori non sembrano capire la gravità del problema. Si sente bloccato.
La situazione da fastidiosa diventa intollerabile quando la scuola accusa ingiustamente Ilyas di aver scatenato una rissa con un compagno di classe, in reazione alle continue prese in giro per via dei baffi. Quando per punizione gli viene ritirata la borsa di studio, i suoi genitori Asiya (Meesha Shafi) e Hameed (Rizwan Manji), decidono contro la sua volontà di mandarlo in una scuola superiore pubblica: l’azienda del padre vacilla, messa in difficoltà dal crollo del mercato delle telecomunicazioni, e non possono più permettersi la retta scolastica.
Come si diventa “cattivi”
Preoccupato che le influenze “corrotte” della scuola pubblica possano trasformarlo in un “cattivo musulmano”, Ilyas elabora un piano per convincere i genitori a cambiare idea. Comincia dunque a lasciarsi andare a comportamenti discutibili, sotto la guida del suo nuovo migliore amico Arun (Krishna Manivannan). Ma visto che le sue riprovevoli incursioni nei fast food e nella musica rap non riescono a scandalizzarli abbastanza, Ilyas decide di fingere una relazione con la bella compagna di classe Liz Park (Melody Cao). È sicuro che i suoi genitori non chiuderanno un occhio anche su un fidanzamento “proibito”.
Riconoscendo i suoi limiti, si rivolge a una ragazza che possa dargli dei consigli strategici: l’astuta Yasmeen (Ayana Manji), sua compagna di scuola, che accetta solo perché in segreto ha una cotta per lui. Seguendo il suo piano, Ilyas comincia a frequentare con un po’di titubanza il corso di recitazione del liceo, tenuto dalla professoressa di teatro Miss Martin (Alicia Silverstone), per poter tenere d’occhio Liz. Impressionata dal suo talento, la professoressa lo convince a frequentare gli altri ragazzi del teatro. In breve, Ilyas si rende conto di essersi messo nei guai da solo: adesso vorrebbe veramente che Liz diventasse la sua ragazza, ma non ha idea di come fare.
Religione tra ipocrisia e osservanza
Khan mette di fronte a Ilyas una serie di problemi da risolvere, tra cui una complessa mole di requisiti e divieti imposti dalla religione, che sono fonte di gran parte dell’umorismo del film. Tuttavia, quando il suo comportamento comincia a somigliare a quello ipocrita degli adulti, per i quali sta rapidamente perdendo rispetto, Ilyas si trova di fronte a una decisione: imitare il loro comportamento o rifiutarlo.
Verma si cala pienamente nell’ansia feroce di Ilyas, messa in scena con un linguaggio del corpo nervoso e con uno sguardo sfuggente di fronte a figure autoritarie o membri del sesso opposto. Anche Shafi e Manji, nei panni dei genitori, sono credibili guide per un adolescente ribelle, mentre Silverstone svolge un ruolo per lo più di servizio, che avrebbe potuto essere notevolmente ampliato.
Una commedia a tema religioso può risultare problematica anche se si sforza di essere rispettosa, ma Khan riesce a rimanere in bilico tra satira e comprensione, senza spingersi troppo oltre il limite. Un modello efficace per tutti quei registi che desiderano esplorare, con sensibilità e umorismo, contesti culturali altrettanto complessi.
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