Lola ha sedici anni, e tenta disperatamente di vivere una vita come le altre. Si esercita per prendere la patente, consegna volantini per permettersi il suo primo viaggio da sola in Germania (Alemania, in spagnolo) e brama una sua indipendenza, che ricerca a partire dai piercing fatti senza consenso dei genitori fino alla scoperta del sesso maschile.
Ciò di cui accusa davvero l’assenza, però, è la normalità. La possibilità di vivere senza fardelli più grandi di lei tutto ciò che un’adolescenza normale comporta. Ed è da qui che parte lo sguardo attento, delicato – e sotto molti aspetti autobiografico – di Maria Zanetti. Racconta la malattia mentale dagli occhi di una sorella minore che, dietro una profonda e naturale ammirazione, cela un’enorme difficoltà nel tentativo di contenere (quella che vorrebbe che fosse) una figura di riferimento.
Dopo documentari e videoclip, Alemania è il suo primo lungometraggio. Come ha vissuto questo esordio?
È stato un viaggio intenso, emozionante. A tratti facile, a tratti molto meno, però è un’esperienza che ti attraversa sotto tanti punti di vista. Ho messo in atto un film molto personale, che necessita una preparazione individuale, ed ha finito per diventare l’esperienza lavorativa e umana più importante della mia vita.
Come nasce il personaggio di Lola, una sedicenne che suo malgrado si ritrova a crescere in fretta?
È una storia autobiografica da molti punti di vista. Ho scritto questo film in piena pandemia, profondamente toccata e condizionata dalla morte di mio fratello, avvenuta pochi mesi prima. Ho iniziato a cercare foto di famiglia da stampare, e tutto questo mi ha fatto ricordare tanti momenti della mia infanzia. Nella solitudine dell’isolamento mi sono rifugiata nel personaggio adolescente di Lola, e ho sentito la necessità di ricostruire una dinamica familiare nella quale mio fratello fosse ancora vivo.
È stato difficile introdurre così tanto personale nel processo artistico?
Ciò che ho vissuto a livello personale è stato veramente difficile da processare, ma è stato un sentimento che mi ha motivato a creare e ad esprimermi. Ho scritto il film in pochissimo tempo, perché aveva a che fare con un mondo che ho vissuto in prima persona e che ero in grado di raccontare piuttosto da vicino. All’inizio il processo è stato duro e tortuoso, ma poi la vitalità di scrittura ha preso il sopravvento.
Pur trattando temi molto delicati, Alemania non risulta affatto un film triste. Lola, seppur con vari ostacoli, riesce a vivere la sua adolescenza.
La mia intenzione non era quella di fare pietismo. Piuttosto, volevo rappresentare la vita in tutti i suoi aspetti: da un momento all’altro può succederti qualsiasi cosa in grado di stravolgerti l’esistenza.
I problemi mentali sono spesso uno stigma sociale. Come vengono percepite situazioni analoghe a quella di Lola, in Argentina?
Sono un enorme stigma qui. Ci sono vari percorsi che si possono intraprendere, ma non sono affatto sufficienti. Mio fratello era bipolare, cominciò ad avere i primi sintomi a 19 anni. Erano gli anni novanta, un’epoca in cui c’era molta meno consapevolezza. Le persone con disturbi mentali erano vittime di ancora più stereotipi e incomprensioni. Ora, sicuramente, ci sono più strumenti per affrontare il tutto. C’è ancora un lungo cammino da fare, però, soprattutto dopo la pandemia, che ha accentuato tante problematiche di questo tipo.
Vuole trasmettere un messaggio educativo in questo senso?
Non era la mia volontà. Io ho voluto rappresentare tutto dal punto di vista di Lola, che oltre ad essere un’adolescente in fase di crescita è la sorella di una ragazza con problemi mentali. Ho guardato il mondo a partire dalla sua ingenuità, la sua incapacità di agire e di capire certe situazioni. Non volevo che Alemania fosse una guida di comportamento, piuttosto volevo riflettere una serie di domande e introspezioni. Ci sono dentro il senso di colpa, la mancanza, la volontà di mantenere la presenza di mio fratello.
La nonna di Lola verso la fine le dice “quando la tua testa è un incendio, a volte l’amore non basta” . Ci sono casi in cui l’amore non è sufficiente?
È una riflessione a cui sono arrivata ad un certo punto della mia vita, ma non è qualcosa di conclusivo. In alcuni momenti l’amore basta, ed ha una carica superiore a qualsiasi altra cosa. In altri, semplicemente, no.
Aveva paura di cadere nello stereotipo trattando un tema così delicato?
Ho scritto il film in un momento in cui ero molto sensibile ed emozionata, perciò l’essere delicata non è stata un’intenzione, è successo e basta. Mi piacciono i coming of age, quindi volevo raffigurare un’adolescente comune, che non fosse la solita outcaster ribelle. Avevo bisogno di uno sguardo comune da raccontare, che fosse il più familiare possibile, come quello che ho vissuto io per prima. Quella di Lola è un’identità che si sta definendo, all’ombra di una sorella più grande, che da un lato guarda con ammirazione, dall’altro fatica a comprendere.
La Germania per Lola è metafora di una profonda voglia di crescita dalla quale però è terrorizzata.
La brama del viaggio è essa stessa la voglia di vivere la sua adolescenza, di staccarsi per un po’ dalla casa, che è il luogo in cui la libertà, in qualche modo, le viene preclusa. Sogna una Germania che potrebbe essere la Cina o qualsiasi altro posto. La metafora sta nel tentativo di scappare per crescere in maniera diversa, lontana da sguardi familiari che la giudichino o la incasellino. Lola vuole esplorare se stessa, cosa che è impossibilitata a fare nel suo ambiente intimo. Dove l’attenzione, per forza di cose, è tutta focalizzata su altri aspetti.
Anche la Germania è un elemento autobiografico?
Sì. In quarto liceo, nella mia scuola, si facevano degli scambi culturali, ed io, come Lola, ho avuto l’opportunità di fare una vacanza studio in Germania per alcuni mesi. Vivere sola in un posto e in una famiglia sconosciuti è un mix di spavento e curiosità, che ti abitua a dei contorni tutt’altro che familiari. Sarei una persona completamente diversa se non avessi fatto quell’esperienza, che oltre ad avermi cambiata personalmente ha dato il nome al mio primo film (ride, ndr).
È difficile far nascere un progetto indipendente in Argentina?
Molto, soprattutto ottenere risorse quando non si ha l’appoggio di grandi produzioni o piattaforme. Per fortuna abbiamo avuto l’appoggio dell’Incaa, un istituto di cinema del nostro paese, è stato un enorme privilegio.
Cosa vorrebbe da Alemania?
Vorrei lo vedesse la maggior quantità di gente possibile. Non mi interessa il come. Vorrei mi facessero arrivare il proprio feedback positivo o negativo che sia. Ogni film si completa con lo sguardo di chi lo vede, e per me è necessario ricevere risposte, specialmente per un’opera indipendente come questa.
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