Christopher Nolan: “Viviamo in un mondo creato da Oppenheimer. La paura dell’Armageddon non svanirà mai”

"Quando ho raccontato a uno dei miei figli adolescenti cosa stavo scrivendo, mi ha chiesto se qualcuno si preoccupasse dei dispositivi nucleari. Per le peggiori ragioni possibili, due anni dopo, non sta più facendo quella domanda. Nessuno fa quella domanda". Il regista racconta a THR Roma il film sul padre della bomba atomica

Camicia chiara, giacca verde scuro e un termos con del caffè sulle gambe che beve tra una domanda e l’altra. Incontriamo Christopher Nolan in una stanza d’albergo del Corinthia Hotel di Londra, sede dell’attività stampa di Oppenheimer. È la mattina seguente all’inizio dello sciopero degli attori che ha impedito al cast del film composto da Cillian Murphy, Matt Damon, Robert Downey Jr., Emily Blunt e Florence Pugh di prendere parte alle interviste previste con la stampa europea.

Serio e composto ma anche molto esaustivo, il regista gesticola animatamente mentre risponde alle domande sul film – nelle sale italiane dal 23 agosto – dedicato al fisico a capo del Progetto Manhattan che, nel 1945, divenne il padre della bomba atomica all’indomani del Trinity Test. Che sancì la prima detonazione di un’arma nucleare cambiando per sempre la storia dell’umanità.

In Oppenheimer racconta l’irraccontabile: la bomba atomica e l’umanità sull’orlo dell’apocalisse. Da dove ha iniziato ad immaginare visivamente questo mondo, insieme alla lotta interiore del suo protagonista?

In realtà, per quanto riguarda le immagini, abbiamo seguito in un modo strano il percorso del protagonista. Va detto, per le persone che non hanno ancora visto il film, che quando ho mostrato la sceneggiatura al mio supervisore degli effetti visivi, gli ho detto: “Ok, non voglio usare la grafica computerizzata perché non avrà la forza per evocare la minaccia necessaria per dare mordente alle immagini”. Quindi gli ho chiesto di iniziare a sperimentare su come possiamo immaginare il concetto di quantistica, come possiamo immaginare la vibrazione degli atomi e delle molecole, le onde di energia e così via.

Com’è andata?

Abbiamo sviluppato tutto ciò fino al punto in cui trova la sua massima espressione nella potenza distruttiva del dispositivo atomico detonato a Trinity. Abbiamo iniziato con queste prime piccole immagini. E poi abbiamo sviluppato le nostre tecniche e sono diventate più grandi. Non voglio svelare troppo, ma abbiamo iniziato ad espanderle, a espanderle fino a quando, nel momento in cui  siamo arrivati al Trinity Test, avevamo i mezzi per ottenere quell’effetto e far sì che fosse coerente, a livello di texture, con le sue prime immagini. Si tratta di una persona che, da giovane uomo e da giovane scienziato, ha iniziato a immaginare energia nella materia opaca. Un’energia che poteva essere liberata. E questo alla fine lo porta fino alla bomba atomica.

Oggi, più che mai, la paura di una guerra atomica in Europa è reale. Pensa che questo film potrebbe essere utile per comprendere forse diverse e spaventose sfumature del momento storico che stiamo vivendo?

Non faccio film per trasmettere messaggi particolari. Penso che i film didattici tendano a non coinvolgere il pubblico. Quindi non si tratta di un documentario. È una storia avvincente, spero. Penso che la storia di Oppenheimer sia una delle più drammatiche. Ma mentre seguivamo la storia e ci addentravamo in essa, ci siamo resi conto che sono del tutto appropriati la serietà delle sue implicazioni, la sua oscurità, il nichilismo sottostante e ciò che dice sul mondo in cui viviamo ora – che è un mondo creato da Oppenheimer – oltre ai pensieri angoscianti e inquietanti che si hanno alla fine del film.

E la sua attinenza al reale?

Per quanto riguarda la sua rilevanza al mondo di oggi, quando ho raccontato per la prima volta a uno dei miei figli adolescenti di cosa stavo scrivendo, mi ha chiesto effettivamente se qualcuno oggi si preoccupasse dei dispositivi nucleari. E purtroppo, per le peggiori ragioni possibili, due anni dopo, non sta più facendo quella domanda. Nessuno fa quella domanda. E questo è caratteristico del nostro complicato rapporto con la paura dell’Armageddon e delle armi nucleari. Va e viene, ma il pericolo non cambia e non svanisce mai. E non lo farà mai. E quindi, sì, penso che il film abbia implicazioni inquietanti.

L’uso della musica, dei suoni e la loro assenza sono elementi centrali in questo film. Qual è il valore narrativo ed emotivo che attribuisce a questi elementi?

Penso che il cinema abbia molte possibilità per coinvolgere il pubblico. Gli effetti sonori e la musica, e in particolare il rapporto tra effetti sonori e musica e ciò che ti dicono emotivamente, ambientalmente, visceralmente, del mondo in cui ti trovi e dei personaggi e della vita interiore dei personaggi, sono strumenti incredibilmente potenti. E quindi, ho utilizzato il lavoro di Ludwig Göransson, il mio compositore, e Richard King, il mio progettista del suono, che hanno operato in parallelo prima che girassimo il film e per tutto il processo di montaggio, per far crescere organicamente il suono e la musica del film insieme all’immagine e ai tagli dell’immagine, in modo che la musica non sia qualcosa di sovrapposto, come una salsa su un pezzo di carne o qualcosa del genere. Fa parte del Dna dell’intero film. E questo, per me, è molto importante.