Clima torrido e altri disastri: a spasso nell’apocalisse con il cinema di Woodworth & Brosens

Stagioni che non finiscono mai, siccità letale, sciamanesimo, i conflitti dell'uomo con la natura: ecco il lavoro appassionato, estremo e con un velo onirico di una coppia di registi senza paragoni

C’è un villaggio francese che da luglio scorso è rimasto senza acqua. È un comune di 800 abitanti, su un altipiano sopra i mille metri nel cuore dell’Ardèche, e si chiama Coucouron. Tutto è iniziato con l’estate caldissima del 2022, la fonte da cui principalmente si approvvigionava il paese ha perso il 94% del suo flusso d’acqua, le altre due disponibili poco meno. I villaggi vicini mandavano ogni giorno cisterne per dar da bere a umani, animali e terra di Coucouron. La situazione era grave, ma poi sarebbe arrivato l’autunno, sarebbero tornate le piogge e si sarebbe più o meno ristabilita la normalità. Invece la stagione secca non è mai finita. L’acqua non è più tornata.

Il pianeta per Woodworth e Brosens

Forse qualche francese avrà ripensato a un film che nel 2012 aveva vinto la prima edizione del Green Drop Award al Festival di Venezia, un premio assegnato al film che interpreta meglio “i valori dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alla conservazione del Pianeta e dei suoi ecosistemi per le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i popoli”.  Si trattava della Quinta stagione di Jessica Woodworth e Peter Brosens: lì era l’inverno a non andarsene mai. Ma era un inverno secco che spargeva una coltre arida su tutto il villaggio e niente cresceva più. Non germogliavano le piante, le mucche non davano latte, morivano le api. La terra, come quella di Coucouron, era avvizzita.

Il conflitto tra uomo e natura

Jessica Woodworth e Peter Brosens vengono entrambi dal mondo del documentario, ma per trovare più libertà di espressione, di linguaggi e di immagini sono scivolati in un cinema di finzione, un po’ surreale e sempre sul crinale fra commedia e dramma. La Quinta stagione, terzo atto di una cupa trilogia dedicata al conflitto fra uomo e natura, sta nei confini del dramma ma basta spesso un passo per finire dall’altra parte. Lo stesso vale per il loro ultimo film, Un re allo sbando, che immagina un re belga perso fra i Balcani e l’Europa mentre cerca di tornare in Vallonia per un’emergenza: sta nel terreno della commedia, ma sempre vicino a varcare il confine opposto.

Quel che è certo è che nei loro film apparentemente sempre un po’ surreali la realtà emerge radicata e potente. La Quinta stagione pare una favola, ci sono rituali di paese che possono diventare ferocissimi, e uomini con maschere bianche che a volte parlano con una gallina, ma dentro quella favola c’è tutta la terra che si inaridisce e l’umanità che si incattivisce con lei. E c’è il villaggio di Coucouron che sta vivendo la sua quinta stagione, quella in cui non c’è acqua.

I viaggi e le passioni di Woodworth e Brosens

Woodworth, di famiglia belga, è nata negli Stati Uniti nel 1971. Si è laureata in letteratura alla Princeton University e in cinema e documentario all’Università di Stanford. Negli anni novanta ha viaggiato fra Europa, Asia e Nord Africa per lavorare come regista e produttrice di documentari, nel 2002 è uscito The Virgin Diaries ambientato in Marocco.

Brosens invece viene dalle Fiandre e da studi di geografia urbana e antropologia culturale – prima a Lovanio, poi a Manchester. A metà degli anni Ottanta, poco più che ventenne, ha lavorato a una ricerca sull’integrazione fra gli insediamenti attorno alla città di Lima, in Perù, e poi anche in Equador e in particolare sulle Ande per studiare movimenti migratori e proteste sugli altipiani ecuadoriani. Da questi viaggi probabilmente viene il secondo film della trilogia scritta e diretta con la moglie Jessica, Altipiano: una storia di colonialismo ed “estrattivismo” in un villaggio peruviano sulle Ande, in cui si racconta una comunità distrutta da una perdita di mercurio in una miniera della zona – e insieme una storia poetica, lirica, un po’ magica.

Dalla Mongolia con ribellione

Nel primo film della coppia, Khadak, uscito nel 2006, tornano invece i viaggi e i documentari girati da Brosens in Mongolia negli anni Novanta e soprattutto emergono gli studi di geografia urbana: quella di Khadak è la storia di pastori costretti a diventare minatori, come anche in Europa nell’Ottocento i contadini rimasti senza terre sono stati costretti a diventare operai. È la storia della collettivizzazione del bestiame perpetrata dai sovietici in Mongolia a partire dal 1928, ed è la storia di una società che ha bisogno di rinchiudere in ospedali psichiatrici chi non si attiene alle regole. Ma è una storia di ribellione, fuga e amore.

Tutto ciò è raccontato con il linguaggio lieve, aereo e magico di Woodworth e Brosens: il bestiame viene portato via con la scusa di una fantomatica epidemia, e con la stessa scusa i nomadi vengono strappati alle loro gher e steppe perché si rinchiudano in un grattacielo in mezzo al nulla e lavorino in una miniera di carbone. E il giovane protagonista è un futuro sciamano, mentre nella modernità un epilettico che fa sogni strani e che va internato. Nel mondo dei due registi belgi però uno sciamano, anche fra carbone e psichiatri, ha abbastanza immaginazione e contatto con la terra per fuggire e trovare senza cercarle anime ribelli con cui proseguire il viaggio.

I sogni degli sciamani

Khadak, Altipiano e Quinta stagione sono tutti attraversati da un velo onirico, eppure non stupisce che entrambi i registi vengano dal mondo del documentario e del cinema del reale. In un’intervista Jessica Woodworth spiega così la loro poetica: “Abbiamo bisogno di sogni per capire ciò che ci sta succedendo, e il cinema è un mezzo importante per farlo”.

I sogni degli sciamani – lo vediamo in Khadak – servono a leggere la realtà e il presente. Il cinema può fare lo stesso. E quel che è emerge è che non sono i sogni (o le storie) a dover essere interpretati, ma appunto la realtà, soprattutto se è opaca. E la crisi climatica ci immerge in trasformazioni così profonde e ci costringe a leggere il passato e il presente da prospettive così inedite da aver bisogno di sogni e storie potentissime per poterla capire e per potervi situare dentro le nostre esistenze. Un villaggio della Francia che da luglio non ha più acqua ha bisogno di immaginare una quinta stagione per vivere nella sua infinita stagione secca.