Martin Scorsese stava lavorando a Killers of the Flower Moon già da qualche anno quando ebbe una sorprendente rivelazione. Con lo sceneggiatore Eric Roth stava adattando l’omonimo saggio di David Grann (2017) dedicato a una serie di omicidi di Osage in Oklahoma all’inizio degli anni Venti, prevedendo che Leonardo DiCaprio interpretasse l’agente dell’Fbi incaricato di risolvere i crimini.
Scorsese, che è cresciuto guardando e amando i film western, afferma che aveva già iniziato a immaginare tutto nella sua testa: “Scende dal treno. Vediamo i suoi stivali, alziamo lo sguardo, ha un cappello Stetson e si guarda intorno. Non dice nulla”. Era facile immaginarlo. E questo era il problema. “Mi sembrava di aver già visto tutto il film”, afferma il regista. “È Harry Carey Sr. È Walter Huston in Law and Order, il western del 1932. Si arriva fino al giovane Clint Eastwood. Cosa farò con DiCaprio? Dov’è l’anima di questo film?”.
Una nuova storia per la Osage Nation
Sebbene la storia degli Osage fosse poco conosciuta, il western che stavano progettando di realizzare sembrava simile ad una storia hollywoodiana in modi che Scorsese non voleva replicare. Dopo una lettura preliminare all’inizio del 2020, diversi collaboratori, tra cui DiCaprio, hanno iniziato a temere che la storia sminuisse l’esperienza del popolo Osage e che riproponesse vecchi stereotipi. “Non volevamo spingerci troppo in là con questa “grande promessa bianca che salvava i nativi americani”, afferma Roth.
La soluzione è stata quella di riformulare la storia intorno a una coppia di personaggi molto più definiti e complessi di quelli presenti nel libro, un misterioso matrimonio tra una ricca donna Osage di nome Mollie, interpretata da Lily Gladstone, e uno sfuggente veterano della prima guerra mondiale di nome Ernest, interpretato poi da DiCaprio. “Quello che mi è sembrato davvero entusiasmante è che questa relazione diventa il microcosmo della conversazione più ampia che si sta facendo”, afferma Gladstone. “Serve a umanizzare i personaggi e a far sì che la storia colpisca più duramente”.
L’incontro con la comunità Osage
Durante lo sviluppo del film, Scorsese ha incontrato i membri della comunità Osage di Pawhuska, Oklahoma, compreso il capo Geoffrey Standing Bear, leader principale della nazione Osage. Il regista voleva discutere di come intendeva ritrarre l’epoca buia della loro storia nota come il regno del terrore, quando gli Osage, diventati ricchi dopo la scoperta del petrolio sulla loro terra, venivano sistematicamente uccisi per i loro diritti petroliferi. “Ero in ansia”, racconta Scorsese. “Sapevo che se non fossi riuscito a conquistare la loro fiducia, allora non avrebbe avuto senso fare il film. Come americano di origine europea, siciliana, non potevo appieno comprendere la situazione, e speravo che me lo avrebbero perdonato. Ma sapevano che la storia partiva dal punto di vista giusto e che non si trattava di un revisionismo di superficie, semplicistico. Volevo qualcosa di veramente complesso che parlasse di umanità”.
L’incontro è durato ore. “Una delle persone presenti nella stanza ha detto: ‘Devi stare molto attento. State mettendo le parole in bocca a persone che per noi sono reali e concrete, fanno parte delle nostre famiglie”. L’umiltà di Scorsese e il suo lavoro – in particolare il film Silence del 2016, che ritraeva i missionari cristiani nel Giappone del XVII secolo – hanno contribuito a rassicurare Standing Bear e gli altri membri della comunità che il progetto sarebbe stato serio e rispettoso.
Il coinvolgimento pratico degli Osage nel film
Insieme alla sua ricercatrice e produttrice esecutiva, Marianne Bower, Scorsese ha cercato di coinvolgere il maggior numero possibile di Osage nella produzione. Ha scelto attori Osage per più di 40 ruoli, senza contare le centinaia di comparse. L’anziano Osage John Williams è diventato il consulente culturale del film; Vann Bighorse, direttore dell’Osage nation language program, ha supervisionato l’uso della lingua Osage nel film. Julie O’Keefe è stata la consulente Osage per i costumi e l’artista Addie Roanhorse è stata assunta per assistere il design della produzione.
Anche i lavori più piccoli della troupe sono stati svolti da Osage. Il giorno in cui la produzione ha filmato un’esplosione in cui sono morti alcuni membri della comunità, un assistente di produzione nel reparto telecamere era il nipote di un uomo che aveva cercato i sopravvissuti di quell’esplosione e recuperato i corpi. “Non si tratta solo di una storia inventata da qualcuno, o di un evento storico che si distacca da noi”, afferma il direttore della fotografia Rodrigo Prieto. “Eravamo vicini alle persone che l’hanno vissuto. Quindi sentivamo di avere la responsabilità di fare le cose per bene”.
La scelta di Lily Gladstone come protagonista
Scorsese ha scritturato Lily Gladstone, che ha origini Blackfeet e Nimíipuu e che di recente ha recitato in Certain Women di Kelly Reichardt, dopo un incontro di Zoom in cui si sono confrontati anche sul cattolicesimo. Gladstone ha avvertito un legame tra il suo personaggio e la bisnonna da cui prende il nome, che incarnava sia la sua cultura indigena che quella portata dai missionari gesuiti.
“Mollie si sentiva una donna Osage, proveniente da una comunità in cui le donne possiedono tutto e sono responsabili del commercio”, afferma l’attrice. “E poi anche una certa visione del mondo che sarebbe stata imposta attraverso il cattolicesimo e il collegio. C’è un livello di soppressione delle proprie emozioni che credo sia familiare a molte persone che provengono da ambienti cattolici”.
Durante la produzione, Gladstone ha dato un contributo significativo al suo personaggio. In una scena, lei e le attrici che interpretano le sue sorelle si sono rivolte a Scorsese con un’idea. “Avevano dei dialoghi che ritenevano più interessanti dal punto di vista delle donne e io ho ascoltato con entusiasmo”, racconta Scorsese. Nella scena, le donne guardano gli uomini che giocano una partita. Avevano detto a Scorsese che avrebbero paragonato gli uomini a tipi di animali. Mollie, per esempio, chiama Ernest “coyote”, segno che è al corrente della sua astuzia e del suo attaccamento al denaro.
E nonostante sia stata la prima volta di Gladstone su un set di Scorsese l’attrice ha sentito la possibilità di poter dire la sua. “Pensare sempre a Mollie mi aiutava a mettere da parte il nervosismo di Lily. Non volevo essere troppo concentrata su questo argomento, sulla portata di ciò che stava accadendo. Questi uomini sono dei giganti per un motivo. Si impegnano tantissimo in questo lavoro e non si limitano a riservare un posto a tavola per te, ma si aspettano che tu porti un piatto. Si aspettano che tu porti un piatto”.
Il ruolo di Robert De Niro e il resto del cast
Nella loro decima collaborazione professionale, Scorsese ha affidato a Robert De Niro il ruolo di Bill Hale, zio di Ernest e principale artefice del regno del terrore. “Era un uomo ben voluto dalla comunità, se vogliamo, o temuto, o entrambe le cose”, afferma De Niro, paragonando Hale a un boss mafioso. “Sentiva di essere un autentico benefattore della comunità e si sentiva in diritto di fare cose che non erano molto belle, se vogliamo metterla così”. Suo diretto rivale diventa Jesse Plemons nel ruolo di Tom White, l’agente dell’Fbi originariamente destinato a DiCaprio e diventato poi un personaggio secondario.
Insieme a lui ci sono diversi volti riconoscibili tra cui John Lithgow e Brendan Fraser nei panni di due avvocati, e musicisti come Pete Yorn, Randy Houser e Jack White. Alcuni attori indigeni hanno interpretato ruoli chiave: William Belleau è stato scritturato per il ruolo di Henry Roan, un Osage legato a Mollie, Tatanka Means ha interpretato l’agente federale nativo americano John Wren e la canadese Tantoo Cardinal ha interpretato la matriarca Lizzie, madre di Mollie.
Gli aspetti tecnici e la fotografia di Rodrigo Prieto
Prieto ha girato la maggior parte del film in pellicola, tranne alcune scene notturne, e ha sviluppato una fotografia a colori ispirata agli anni Venti per separare il mondo degli Osage da quello dei personaggi bianchi. “I nostri ricordi sono tinti dal colore e dalla consistenza delle fotografie dell’epoca”, afferma Prieto. Quando il film si avvicina al suo cupo culmine, Prieto emula un processo Technicolor sviluppato in Italia e chiamato Enr, che aumenta il contrasto e riduce la saturazione del colore. “Tutti improvvisamente danno questa sensazione di durezza”.
Prieto ha utilizzato tecniche di ispirazione vintage, la ripresa in bianco e nero del cinegiornale realizzata con la cinepresa a manovella Bell & Howell del 1917 di Scorsese. O la tavolozza a tre strisce ispirata al Technicolor per il finale del film.
La costumista Jacqueline West, inoltre, ha collaborato con la consulente Osage O’Keefe per vestire i personaggi con accuratezza storica, prestando particolare attenzione alle coperte che indossavano, “l’abito del potere per la donna Osage”. L’azienda laniera Pendleton, con sede in Oregon, ha riprodotto coperte tratte dalle fotografie degli anni Venti di Mollie e delle sue sorelle, oltre a centinaia di altri tessuti e modelli realizzati all’epoca.
Esistono cinque modi diversi in cui gli Osage indossavano le coperte, a seconda dell’occasione, e O’Keefe aiutava gli attori a vestirsi di conseguenza. “Ciò che mi ha aiutato a capire Mollie è stato indossare il vestito”, afferma Gladstone. “Non appena ho indossato la gonna di tela larga con la piega a farfalla e l’ho stretta, mi sono sentita come se avessi un corsetto. Cammini con un passo molto misurato”. Data l’agiatezza degli Osage all’inizio del XX secolo, c’era un’insolita quantità di materiale storico, compresi i filmati amatoriali. West ha anche fatto riferimento all’iconografia dei film western, per la gioia di Scorsese. Ha basato i costumi di De Niro sui personaggi del western Sangue sulla luna del 1948 e quelli di DiCaprio sui personaggi interpretati dagli attori cowboy Tom Mix e Gary Cooper.
Killers of the Flower Moon, riprese e set
Le riprese sono iniziate nell’aprile del 2021 e hanno incluso circa 50 location, un misto di strutture esistenti e set costruiti. Mollie viveva a Fairfax, in Oklahoma, una città che non aveva più l’aspetto degli anni Venti, soprattutto a causa dei tornado che si abbattono regolarmente su quella zona. Lo scenografo Jack Fisk si è impegnato a ricreare Fairfax a una trentina di chilometri di distanza, nella città di Pawhuska, dove ha ridipinto gli edifici più vecchi utilizzando i colori popolari dell’epoca. Sfruttando le fonti originali, Fisk ha pensato a come ricostruire la Fairfax degli anni Venti, trovando vecchi registri immobiliari che rivelavano come vivevano i personaggi.
“Si è detto che gli Osage erano le persone più ricche del mondo pro capite, quindi ci si immaginava grandi case”, afferma Fisk. “Ma le vecchie case di Fairfax erano modeste abitazioni artigianali. Anche se erano molto confortevoli per l’epoca, non erano ville”. Questo ha creato un dilemma per Scorsese. “Quando ho spiegato al regista come erano realmente queste case, lui ha detto due cose. Vuoi dire che non riuscirò mai a vederla scendere le scale? Credo che stesse pensando a Via col vento. E poi ha detto: come faremo a sapere che sono ricchi?. E questo mi ha fatto pensare”.
In fase di post-produzione, Scorsese si è affidato ai suoi collaboratori di lunga data, la montatrice Thelma Schoonmaker, che ha lavorato a tutti i 24 film che il regista ha girato dal 1980 a oggi, e il compositore Robbie Robertson (morto ad agosto). Scorsese ha conosciuto Robertson grazie al suo lavoro con Bob Dylan e con The Band. Robertson, che aveva realizzato le colonne sonore di Toro Scatenato, Silence e The Irishman, si è affidato a un’orchestra di chitarre, tra cui corde d’acciaio, dobro, chitarre elettriche e ad arco, oltre a tamburi nativi americani.
Una critica ricorrente: la violenza di Scorsese
Una delle critiche mosse al film è stata relativa alla difficoltà di assistere alle violenze contro il popolo Osage. “Guardando il film con un pubblico che in gran parte non è nativo, una parte significativa degli spettatori si aspetta di vedere Goodfellas ed entrerà in contatto con il film in modo diverso, e questo può essere molto, molto sconvolgente”, afferma Gladstone. A luglio, il cast ha organizzato una prima esclusivamente per la nazione Osage. Gladstone è rimasta in contatto con le donne Osage che ha incontrato durante la lavorazione del film ed era interessata a sentire le loro reazioni. “La cosa di cui tutte continuavamo a parlare era di quanto fossero grate di poterlo vedere insieme, perché così c’è qualcuno con cui poterlo analizzare”, dice Gladstone. “Se lo si affronta in modo isolato, può essere una cosa molto traumatica. In questo modo lo si trasforma in qualcosa di terapeutico”.
Il cameo di Scorsese, una significativa sorpresa sul finale
Una delle scelte sorprendenti di Scorsese nel film è quella di interpretare un piccolo ruolo come annunciatore radiofonico che legge il necrologio di Mollie. La decisione di apparire nell’epilogo del film, che è girato come un’opera radiofonica d’altri tempi, è arrivata quasi per caso, ma ha assunto un significato più ampio per il regista. “Non sapevo come dirigere la scena del necrologio. Non so cosa dire a nessun attore su come leggerlo. E allora mi sono detto: ‘perché non ci provo io’?” Nel peggiore dei casi, pensò, avrebbe fatto una prova di ripresa per un altro attore.
Si dà il caso che quel giorno sua moglie fosse sul set, così come una delle sue figlie, una nipote e alcuni amici. Mentre iniziava a leggere le parole, Scorsese afferma che: “È arrivato tutto. Mi è caduto sulle spalle e l’ho sentito”. Come persona che ha amato i film western da bambino ed è cresciuta realizzando film ispirati ad essi, ha sentito una sorta di complicità nel dolore e nella rappresentazione errata dei nativi. “Ho sentito un riscontro, un’espiazione. Ho amato quella forma d’arte all’epoca, negli anni Quaranta e Cinquanta, davvero. Non provo rimpianto. È così che sono cresciuto, ma devo riconoscerlo. Voglio dire, eccomi qui a farlo. In effetti, si tratta nuovamente di una storia di sofferenza che si trasforma in intrattenimento. Un tipo di intrattenimento che spero abbia una ricchezza e una profondità tali da poter durare a lungo. Tutto qui. E in questo caso, allora, la colpa è mia”.
Traduzione di Pietro Cecioni
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