Buona notizia, Johnny Depp – l’istrionico attore di talento, non il patetico personaggio pubblico – è tornato. Concentrato, dedicato, esatto: il suo Luigi XV, sovrano compiaciuto e mollemente rassegnato al ruolo, è la star di Jeanne du Barry, il film d’apertura del Festival di Cannes, firmato dalla regista e attrice Maïwenn, accolto con un tiepido applauso alla proiezione ufficiale e distribuito in Italia da Notorius Pictures.
Un carattere che Depp gioca in sottrazione (il “suo” senso della sottrazione), tratteggiando con gran divertimento la figura storica del sovrano viveur, destinato a lasciare il trono al figlio Luigi XVI e alla sua consorte, la regina Maria Antonietta. Di lui si innamora la cortigiana Jeanne du Barry, interpretata dalla stessa regista, impegnata in una scalata sociale che la porterà, uno status dopo l’altro, a raggiungere la vetta del potere – ironia della sorte – proprio a un passo dalla Rivoluzione.
Jeanne du Barry, la recensione
Ideale punto d’incontro tra il Maria Antonietta di Sofia Coppola (citato come riferimento dalla stessa regista) e il Pretty Woman di Garry Marshall, Jean du Barry riscatta il personaggio della Contessa libertina, la “cattiva” di qualsiasi narrazione su Maria Antonietta (Lady Oscar inclusa), giustificando la spregiudicatezza con cui conquista il potere come legittima reazione all’ingiustizia dei tempi. Donna libera e istruita, perfettamente consapevole del suo corpo, la Contessa usa il sesso come grimaldello per scardinare la casta, sfuggendo a uomini terribili e donne ferocemente competitive. L’utero è suo e se lo gestisce lei, peccato che il mondo non sia pronto. Intorno a lei nessuna solidarietà femminile, nessuna complicità fra emarginati, nessuna pietà nemmeno dagli amanti: ma neanche la Contessa Du Barry, bisogna ammettere, brilla per simpatia.
È un mondo cinico e individualista, maschilista fino al midollo, quello che racconta Maïwenn, paladina francese dell’anti-metoo, che introietta nel film la sua storia personale: il riscatto sociale dall’origine proletaria, la relazione da minorenne con il regista Luc Besson, l’ostilità del mondo intellettuale per la sua cocciuta natura provocatrice.
Location e abiti da venti milioni
Operazione interessante e certamente originale, programmaticamente scorretta (la scelta di Johnny Depp non è casuale), che paga una certa superficialità nella struttura: gli “spiegoni” affidati alla voce fuori campo, e certe scivolate nella caricatura, tolgono forza al film che perde progressivamente di consistenza. I venti milioni di dollari di budget si vedono tutti, nelle magnifiche riprese di Versailles e negli abiti firmati Chanel, e il copione ha sequenze a tratti geniali (il regalo “esotico” del re alla Contessa; il personaggio di La Borde, interpretato dall’ottimo Benjamin Lavernhe; la sequenza della routine mattutina del re). Ma manca quell’ironia che rese Julia Roberts irresistibile in Pretty Woman, manca lo spirito rock che fece della Maria Antonietta di Coppola un’icona: resta Johnny Depp, senz’altro, che da solo vale il film. Astenersi moralisti, intolleranti e detrattori.
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