C’è una scena di November – I cinque giorni dopo il Bataclan di Cédric Jimenez in cui tutta la frenesia, l’adrenalina e la concitazione vissuta dai protagonisti fino a quel momento svaniscono.
Il fiato spezzato e la sensazione di pericolo costante lasciano il passo a un respiro trattenuto. Tutto si ferma. Anche noi spettatori. Il regista francese ci concede una tregua. Un momento di apnea in cui tutto è sospeso e rimane solo il ritmo del respiro da seguire, il battito del cuore dei suoi personaggi. È passato solo qualche giorno da quando, il 13 novembre 2015, Parigi è stata colpita da una serie di attacchi sanguinosi culminati con il massacro del Bataclan.
Azione incessante e orrore ai margini
Il bilancio sarà di 131 morti e oltre 400 feriti. Ma a Jimenez non interessa indugiare sull’orrore, sul dolore delle vittime. L’unico momento in cui le vediamo è in una breve sequenza in ospedale, inquadrati ai margini dello schermo. La loro presenza è funzionale alle indagini della divisione antiterrorismo della polizia francese capitanata da Fred (Jean Dujardin) che nei cinque giorni successivi ai molteplici attentati – mai mostrati o lasciati fuori campo – si adoperarono giorno e notte per trovare gli attentatori dell’Isis.
Macchina a mano, riprese in soggettiva, scatti repentini e inquadrature geometriche. Tutto in November è teso per amplificare il ritmo incessante dell’azione, grazie anche al notevole lavoro sul suono e quello sul montaggio di Laure Gardette. Candidato a sette César, gli Oscar del cinema francese, il thriller di Jimenez è contaminato dall’estetica delle spy story del cinema americano senza rimanerne schiacciato.
November, tra cinema e realtà
November è un film capace di mantenere alta la tensione anche grazie alla scrittura di Olivier Demangel che firma una sceneggiatura ricca di sfumature. Se è vero che i personaggi di questa storia sono tratteggiati per ruotare attorno al cuore del film – l’indagine per scovare gli attentatori -, è pur vero che November è una riflessione sul pregiudizio e la paura. Due elementi approfonditi attraverso il personaggio di Samia (Lyna Khoudri), giovane donna musulmana trattata con diffidenza nonostante sia in possesso di elementi utili all’indagine.
Ciò che è accaduto al Bataclan e le sue conseguenze sociali hanno segnato un prima e un dopo nella storia recente dell’Europa. Quel senso di insicurezza, di prossimità costante al pericolo è diventato parte delle nostre vite. Mentre l’ex presidente della Repubblica francese François Hollande dichiarava lo stato d’emergenza e la chiusura delle frontiere in quella notte di novembre il mondo che conoscevamo è cambiato per sempre. E il film di Jimenez ce lo ricorda.
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